Sono 460.000 le piccole imprese italiane (con meno di 10 addetti e sotto i 500.000 euro di fatturato) a rischio chiusura a causa dell’epidemia: sono l’11,5% del totale e nel 2021 potrebbero non esserci più. È in gioco un fatturato complessivo di 80 miliardi di euro e quasi un milione di posti di lavoro. Con il lockdown e il gorgo di restrizioni rischia di sparire un popolo di piccoli imprenditori e insieme di prosciugarsi un serbatoio occupazionale. Il Covid-19 potrebbe spazzare via il doppio delle microimprese che sono morte tra il 2008 e il 2019, come conseguenza della grande crisi. Sarebbe un doloroso addio ai nostri piccoli imprenditori vittime di una strage annunciata, con gravi ricadute sulla crescita: è in pericolo il meglio del motore antico del modello di sviluppo italiano. È quanto emerge dal «2° Barometro Censis-Commercialisti sull’andamento dell’economia italiana», realizzato in collaborazione con il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili attraverso la ricognizione delle valutazioni di un ampio campione di 4.600 commercialisti italiani, sensori diffusi sul territorio, affidabili e autorevoli dello stato dell’economia reale.
L’allarme: crollo dei fatturati e crisi di liquidità.
Il 29% dei commercialisti rileva che più della metà delle microimprese clienti ha almeno dimezzato il proprio fatturato (il dato scende al 21,2% nel caso dei commercialisti che si occupano di imprese medio-grandi). Sono quindi 370.000 le piccole imprese che hanno subito un crollo di più della metà dei ricavi. Inoltre, il 32,5% dei commercialisti registra in più della metà della clientela una perdita di liquidità superiore al 50% nell’ultimo anno (il dato scende al 26,2% tra i commercialisti che seguono imprese di maggiori dimensioni). Sono cioè 415.000 le piccole imprese che oggi dispongono di meno della metà della liquidità di un anno fa.
La speranza di salvataggio delle imprese a rischio
Il Decreto Legge n. 125 del 7 ottobre 2020 (convertito in legge il 27 novembre 2020) ha introdotto, tra le varie misure, il salvataggio imprese insolventi, ovvero di quelle aziende che rischiano di saltare a causa di debiti accumulati con il Fisco.
L’emendamento al dl 125/2020, approvato dalla commissione affari costituzionali del senato, che va a modificare gli articoli 180, 182-bis, 182-ter del rd 267/1942, legge fallimentare, va ad abrogare il dm 4 agosto 2009 concernente le modalità di applicazione dei criteri di accettazione della transazione fiscale da parte degli enti previdenziali nell’ambito delle procedure relative agli accordi di ristrutturazione e ai concordati preventivi.
In pratica, è possibile ottenere l’omologazione, da parte del Tribunale, di accordi di ristrutturazione e concordati preventivi, anche nel caso in cui gli enti previdenziali e assistenziali e il Fisco hanno un ruolo determinante nella maggiorazione dei creditori.
La condizione essenziale per le imprese a rischio sarà potere dimostrare che la liquidazione del proprio patrimonio nell’ambito del fallimento è meno vantaggiosa della proposta formulata.
Questa iniziativa legislativa potrebbe essere vera soluzione, in un certo senso rivoluzionaria, che anticipa e migliora i criteri già previsti dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.