Pubblicati i nuovi dati delle esportazioni canadesi di carne bovina verso l’Europa. Quello che risulta immediatamente chiaro è che gli standard sanitari europei sono troppo costosi e troppo complicati per gli esportatori di carni bovine dal Canada.
I dati sono molto chiari: nel 2018, il Canada ha inviato solo il 3,1% delle 50.000 tonnellate di carne autorizzate all’esportazione e nel 2017 il dato era fisso al 2,3%.
Ad un’attenta analisi, come riportato dal sito web canadese CBC News, possiamo affermare che i quantitativi di Export della carne bovina in Europa dal Canada si sono ridotti, a causa delle regole restrittive europee che non consentono di utilizzare ormoni della crescita e gli antibiotici vaccini. Ulteriori analisi per comprendere al meglio l’accordo del CETA e le allarmanti e ingiustificate preoccupazioni delle nostre associazioni di categoria.
Il CETA non ha abrogato le norme Europee sul tema, anzi proprio in base a queste norme, gli allarmi che vengono lanciati da varie associazioni ed organizzazioni politiche appaiono solo strumentali. Sono gli stessi esportatori di carne bovina canadese a certificare che le loro produzioni non giungono in Europa perchè non conviene economicamente.
L’Europa necessita di importazione di carne e il rischio concreto di dazi con gli USA ha complicato la situazione. Per ovviare alle proteste degli allevatori dell’Unione Europea, la Commissione ha deciso di lasciare invariata la quota di tonnellate importate dall’estero, ossia 45mila tonnellate per un periodo di sette anni. A oggi, gli Usa detengono il 30% di questa quota, mentre il resto è in mano soprattutto ad Australia, Uruguay e Argentina.
La quota statunitense era più alta in passato e per questo il presidente Trump, che ha nel comparto agroalimentare uno dei punti forti del suo elettorato, ha chiesto più garanzie all’Unione Europea nel corso dell’incontro del luglio scorso con il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker.
La garanzia è che Bruxelles si è impegnata ad assicurare ai produttori di carne Usa almeno 35mila tonnellate, riducendo l’import da altri Paesi.
Il terreno di scontro, ma anche di incontro, tra i sostenitori del CETA e coloro che vogliono fermarlo sembrerebbe essere quello della “tracciabilità” e quindi della certificazione, ovvero, sostenere le “eccellenze”. In questo settore le aziende canadesi hanno necessità di ammodernare le loro linee di produzione e le aziende europee ed italiane specializzate in tale settore potrebbero offrire i propri servizi alle aziende canadesi, generando ulteriore lavoro ed occupazione.
Il CETA da “pericolo” diviene opportunità economica.
Sostanzialmente, il CETA appare sempre più, giuridicamente e commercialmente, un ottimo accordo che pone un argine all’importazione di prodotti non in regola con le normative europee e italiane e contemporaneamente stimola le aziende europee a collaborare con quelle canadesi per ammodernare e riconvertire le proprie produzioni. Non solo!
Tralasciando le polemiche sull’ondata dei prodotti canadesi in Italia, risulta importante tentare di comprendere a fondo le opportunità di network e collaborazione tra le imprese italiane e quelle canadesi.
Molti produttori nordamericani hanno interesse ad ammodernare le loro linee di produzione, lamentando una continua carenza di veterinari in grado di certificare e concretizzare le nuovi visioni tecnologiche e alimentari del settore. Questa è una grande opportunità per i nostri professionisti europei ed italiani. Grazie al CETA, le competenze professionali dei veterinari Europei, possono essere riconosciute in Canada con nuovi sbocchi lavorativi per i giovani laureandi, senza dimenticare le immense opportunità di partnership che potrebbero avviarsi tra le università canadesi e le università europee ed italiane.
Il CETA può divenire un’opportunità, innanzitutto per l’Italia, ma per superare i pregiudizi occorre come sempre informarsi e contrastare le “fake news” degli “allarmisti di professione”.