I dati ISTAT degli ultimi periodi, la crisi innescata dal corona virus, il modo col quale è stato indotto un allarme sociale ingiustificato, senza tener conto delle ricadute economiche preannunciano una periodo di stagnazione della nostra economia, il probabile ed ulteriore calo dei consumi interni e il rallentamento delle esportazioni, rischiano di riportarci di nuovo in una fase di recessione, e non si vede traccia di una politica industriale nel paese in grado di invertire la tendenza, l’economia del Nord frena, quella del Meridione arretra, anche se il piano per il sud sembra iniziare ad affrontare in termini diversi il nodo spinoso dello sviluppo del sud. Le spinte sovraniste provenienti anche dall’Europa alimentano la sfiducia dei mercati e le fondate preoccupazioni del nostro sistema produttivo, una politica sempre più rissosa e concentrata sulla spasmodica ricerca del consenso appare incapace di proiettare il nostro paese nel futuro. In questo complesso scenario rintracciare il senso e il valore della rappresentanza politica dell’economia del nostro paese nell’era 4.0 e nel mercato globale non è un esercizio della didattica, ma un’ indispensabile azione per comprendere ed indagare la capacità di adattamento al cambiamento del sistema produttivo del paese.
L’Italian Stile, il Made in Italy, sono tratti distintivi della nostra economia che sempre più assumono un ruolo identitario, sono il valore aggiunto dell’essere “il bel paese” che diventa valore economico quando accompagnato da politiche di settore. Capire come il mondo dell’economia evolve e la sua organizzazione in una prospettiva globale è indispensabile per affrontare le sfide che il futuro ci impone. In quest’ottica la codificazione delle dinamiche economiche attraverso la rappresentanza degli interessi diviene un impegno primario, ne determina ruolo e funzione.
I corpi intermedi, le organizzazione datoriali, hanno nella storia passata e recente, rappresentato un volano di democrazia a favore della coesione sociale, stimolo alla diffusione dei valori di comunità alla base del benessere dell’individuo. Le associazioni di categoria hanno svolto un ruolo importante agendo i conflitti di classe, spesso divenendo veri e propri centri di servizi a sostegno dell’impresa anche in sostituzione delle istituzioni. Ciononostante essi sembrano poco inclini ad accettare il cambiamento, lo subiscono quasi inermi; eppure tutto questo è nel nostro paese un patrimonio da conservare e tutelare, è conoscenza ed esperienza costruita dal dopoguerra ad oggi. Aspetto che riguarda la grande industria e ancora di più le medie, piccole e micro imprese, che costituiscono l’ossatura portante dell’economia Nazionale ed Europea. Cerchiamo allora di capire di che mondo parliamo e del suo peso nella società italiana.
Oltre 400 tra giornalisti economici, presidenti delle Camere di Commercio e rappresentanti delle Istituzioni opinion leader hanno risposto a “Spazio RP” per la prima ricerca italiana volta a misurare il grado di autorevolezza delle associazioni di categoria nostro Paese. Sono stati invitati a indicare le organizzazioni che meglio rappresentano gli interessi di imprese, professionisti e lavoratori sul proprio territorio, in base a specifici parametri di valutazione: – le particolarità dell’economia di zona, che tendono a favorire le associazioni di un settore piuttosto che di un altro per quanto concerne il numero di iscritti; l’attivismo e la dinamicità, secondo una maggiore o minore propensione a organizzare eventi, convegni, manifestazioni e ad intervenire nelle questioni più importanti della vita pubblica;- la credibilità e il prestigio raggiunti nella tutela degli interessi dei propri associati, nel rapporto con le Amministrazioni, le forze politiche e le Parti Sociali;- la qualità del servizio offerto ai soci in materia di assistenza tecnica e burocratica;- lo share of voice e la capacità comunicativa, ovvero la presenza sui mass media e l’assiduità nell’invio di comunicati stampa di carattere informativo e promozionale; l’eventuale presenza di un sito web e la qualità dello stesso. In seguito alle indicazioni degli opinion leader sono state individuate le associazioni più influenti a livello locale. Una successiva elaborazione statistica dei dati, con l’attribuzione di un punteggio proporzionale al numero di province per regione, ha permesso di calcolare complessivamente il peso di ciascuna associazione di categoria italiana sul territorio”. La ricerca riguarda tutti i settori dell’economia ma il settore artigiano e della piccola impresa, che mi interessa in modo particolare, rappresenta un paradigma sufficiente a comprendere lo stato di salute dei corpi intermedi della rappresentanza datoriale.
I risultati:
- 19,9% dei consensi per Confindustria: al Nord 22,6% e al Sud (20,1%), mentre al Centro ha un vantaggio sensibilmente più ridotto
- 12.7% Cna: si tratta di un dato poco sorprendente, considerate il crescente attivismo degli ultimi anni e il ruolo che hanno assunto gli studi CNA
- 11.6%: Confartigianato e Confapi
A livello nazionale Cna e Confartigianato sono quasi pari: la distanza tra le due, infatti, è di appena un punto percentuale a favore della prima (12,7% contro 11,6%). Sono invece riscontrabili notevoli differenze su base geografica: la Cna, con il 17,2% delle preferenze, ha il suo punto di forza nel Centro Italia, con un’influenza quasi pari a quella di Confindustria. In particolare, gode della maggiore stima in Umbria, Marche, Emilia Romagna e Toscana, dove si riscontra una forte concentrazione manifatturiera (sia a livello numerico che di rete di interscambio)”; contesto in cui l’organizzazione riesce a esprimere una fortissima capacità associativa e di servizi, aspetto che oggi vede una interessante vivacità anche al sud Sicilia e Campania in testa.
Al contrario, la Confartigianato sembra acquisire importanza man mano che si sale verso il Nord, rivelando tutta la sua efficacia proprio in regioni come la Lombardia, il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige e raggiungendo nell’insieme il 16,2% dei favori. Una delle spiegazioni al diverso radicamento sul territorio delle due associazioni artigiane risiede nel particolare momento storico in cui sono nate, l’immediato dopoguerra, e nelle differenti tradizioni politiche a cui hanno fatto riferimento. Una connotazione di stampo comunista o democristiano che oggi appare scolorita, ma che ha lasciato il segno su scala nazionale con un’eterogenea presenza nel sistema Paese. Più bassa la percentuale raggiunta dalla Confapi, con un 7,6% complessivo che necessita di una lettura particolare.
Questo nel 2016. Oggi lo scenario non è cambiato di molto, anche se a mio giudizio il sistema industriale vive una crisi di rappresentanza profonda, mentre le organizzazioni della piccola impresa provano forme di rappresentanza più vivaci e dinamiche, penso al tentativo di Rete Imprese Italia che mette insieme il mondo dell’artigianato e del commercio. Eppure indipendentemente dai rapporti di forza, dal percepito della società, ciò che e i numeri non raccontano è la forte resistenza al cambiamento di un mondo che continua ad avere lo sguardo rivolto al secolo scorso.
La CNA, Confederazione Nazionale dell’Artigianato e delle PMI, con “connessi al cambiamento” ha da anni compreso che una maggiore autonomia dalla politica e dalla connotazione strettamente ideologica rappresenta un elemento di innovazione politica e di riaffermazione di un ruolo sociale; restando fedele ai principi fondativi ma proponendo un pensiero politico autonomo. Contestualmente impegnata, non senza difficoltà a decodificare un nuovo agire della cultura della rappresentanza dell’economia diffusa. Cultura di insieme ed intelligenza di sistema. Partendo dal superamento delle vecchie contrapposizioni tra centro e territorio, tra rappresentanza imprenditoriale e funzionariato, ridisegnando il territorio e reinterpretandone il ruolo, le funzioni e le dimensioni. Ragionando in termini di filiere, distretti, reti e processi di aggregazione.
Sviluppi futuri
L’economia italiana ha scoperto bruscamente che il sistema industriale basato principalmente su un’ossatura di piccole e piccolissime aziende sembrava non più adatto a sopportare le sfide di un mercato sempre più globale e concorrenziale. Oggi le chiavi per competere risiedono in campi a cui un universo di microimprese non può accedere facilmente. In questo panorama un ruolo chiave debbono giocarlo stakeholder e i motori di coesione come le associazioni d’impresa. Le quali possono diventare protagoniste nel superare gli individualismi, intenti a far crescere l’economia del Paese e dell’Europa dove la rappresentanza d’impresa gioca un ruolo non secondario nelle scelte e nelle politiche comunitarie. Politiche comunitarie che influenzano direttamente il processo produttivo dei paesi aderenti. In questo contesto la capacità di costruire lobby ed alleanze diventa un attività sempre più importante, ma allo stesso tempo un gap per la rappresentanza italiana, nel nostro paese infatti abbiamo da sempre confuso la legittima attività di lobby col sistema deprecabile del mero clientelismo.
Il secondo step è quello di studiare il sistema economico territoriale indagato e letto in “chiave di filiera”, di territorio e infine di prodotto-storia-cultura.
Le associazioni di categoria se vogliono sopravvivere devono riuscire ad innovarsi, snellendosi ed adattandosi alle nuove dinamiche sociali e politiche, trasformandosi sempre più in protagoniste delle vicende sociali e politiche. Diventare motori di spinta del principio di comunità, elemento fondamentale in una economia basata sull’autoimprenditorialità e la micro impresa, il più delle volte condotta in forma familiare, dove l’elemento della qualità del prodotto e della fiducia in chi lo realizza diventano fattore di competizione.
Hanno probabilmente più senso strutture di sedi dislocate sul territorio nazionale solo se inquadrate in una logica di sistema orientate ad un governo su scala nazionale sintesi delle istanze anche provenienti dai territori. Una nuova visione organica con una propria idea di sviluppo del Paese in una prospettiva Europea. Un Europa rinnovata nella sua definizione organizzativa e politica, capace di completare il processo di unificazione, a partire proprio dai temi del lavoro e dello sviluppo economico, superando la funzione di “normatore burocratico” percepita dagli imprenditori. Un sistema associativo a geometrie variabili che punta a fare sintesi sui temi su cui è possibile raggiungere condivisione e costruire alleanze temporanee in relazione a questioni di comune interesse, in Italia e in Europa, tenendo conto delle istanze del territorio/paese e dei settori e/o mestieri rappresentati, ridando ad ogni ambito, nel rispetto delle differenze, dignità di settore, di produzione e di provenienza geografica. Qui lo sforzo politico ed organizzativo, di CNA in vaste aree del paese dimostra che si possono sperimentare nuovi modelli associativi, attivare economie di scala e processi di aggregazione. Inoltre l’attenzione verso le politiche per lo sviluppo del meridione ha consentito per esempio, in Sicilia ed in Campania interessanti segnali di ripresa della qualità associativa in territori tradizionalmente e culturalmente resistenti a processi di “comunità d’interesse”. Campania Nord, che vede aggregate le associazioni territoriali di Napoli, Caserta e Benevento trova una prima ed importante risposta. Certo non mancano resistenze ma il percorso è irreversibilmente avviato.
Abbiamo davanti una nuova stagione della politica Italiana e si auspica una nuova stagione della politica Europea, in uno scenario economico internazionale che muta con una tempistica fin ora inimmaginabile e dagli esiti non sempre prevedibili. A parlare,in queste difficili settimane, sono stati soprattutto i leader politici e una base in subbuglio amplificata dai social network. Un perfetto esempio della disintermediazione che caratterizza il funzionamento della socialità nel suo complesso, politica compresa.
La nascita del nuovo governo, di una nuova forma del governare, in Italia, sembra venire accolta con un generale sollievo, probabilmente anche da parte delle rappresentanze che non ne condividono contenuti e ideologia. Nel nuovo quadro politico le priorità non riguardano solo i contenuti dell’agendada negoziare secondo i riti del “dialogo sociale”. Prima del “cosa” da porre al centro del confronto con il governo si pongono le progettualità e le competenze che devono caratterizzare il nuovo agire delle organizzazioni di rappresentanza, non solo a livello nazionale. Sulla conoscenza e dalla trasformazione da soggetti di rivendicazione politica a soggetti di proposta politica si definisce non solo il ruolo, ma la stessa competizione all’interno del variegato mondo della rappresentanza politica del mondo imprenditoriale.
Policy making
L’impressione è che con una compagine governativa che si regge su uno strumento di natura contrattuale l’impostazione dei “tavoli” di negoziazione sia giunta al tramonto. Potrebbero invece prevalere impostazioni basate sul confronto diretto, su reti relazionali, su una corretta e reciproca “convenienza” nell’interesse del mondo economico e del paese; un metodo che importa gli strumenti della democrazia diretta anche nel contesto delle policy e che può funzionare quando si tratta di attivare più articolati e complessi processi di coprogrammazione e coprogettazione.
La direzione della rappresentanza
I corpi intermedi dovranno prestare più attenzione alla comunicazione interna, dedicarsi ai processi di determinazione di un nuovo modo di fare impresa, di comprendere le ragioni e i bisogni di chi l’impresa la fa, piuttosto che alla predisposizione di “piattaforme” da sottoporre in senso top down al giudizio della base per poi avviare la negoziazione. Ecco quindi che dopo una stagione dove molte rappresentanze hanno investito soprattutto in comunicazione esterna, marcando elementi di identità e valore, si dovranno rafforzare iniziative, competenze e relative infrastrutture tecnologiche volte ad accogliere e rielaborare sollecitazioni puntuali “dal basso” facendo leva su una ritrovata passione alla partecipazione, affermando il ruolo dell’impresa quale volano dell’economia. Utilizzando i nuovi modelli di comunicazione. Dentro una logica di sistema che riduce le distanze tra centro e territorio.
Non si tratta di riposizionamenti ma di passaggi epocali, marcando il protagonismo del territorio come interfaccia sulla “realtà” anche per quanto riguarda la funzione di costruzione delle politiche in una nuova visione del rapporto territorio-paese, rafforzando il ruolo di sintesi e coordinamento del centro nazionale. Una trasformazione figlia dei tempi e forse anche efficace considerando la morfologia della società italiana e del suo tessuto economico -nel paese delle “differenze coerenti”-. Si tratta di un rivolgimento complesso da gestire in termini organizzativi; ambivalente negli esiti perché rischia di frammentare le istanze e le relative proposte di soluzione in una fase in cui il carattere sistemico delle sfide del paese è sotto gli occhi di tutti. E ciononostante è il terreno sul quale le organizzazioni datoriali devono muoversi; accettare la sfida, innovare.
Sarà interessante verificare se da queste sollecitazioni nasceranno corpi intermedi di nuova generazione viste le difficoltà che derivano dai processi di riforma interna e verso l’esterno. Forme nuove di intermediazione e rappresentanza basate su: competenza, conoscenza, analisi e comprensione delle filiere e dei processi produttivi, sui nuovi assetti territoriali, capaci di rispondere alla crescente richiesta delle imprese di servizi ad alto valore aggiunto, di innovazione, sulla capacità di creare opportunità; piuttosto che insistere su matrici culturali e ideologiche che, come restituisce il nuovo assetto politico, hanno fatto il loro tempo. In fondo non è così complesso attivare forme innovative di rappresentanza e coordinamento attraverso lo strumento delle “reti” parola abusata tanto da far apparire la realtà che rappresenta desueta ed in verità praticarla sarebbe rivoluzionario, innovativo.
In questo nuovo scenario, tutto sommato, molte cose si rendono possibili. Per quanto riguarda gli esiti, invece, è solo questione di tempo e del livello consapevolezza del cambiamento.