Con il passare dei giorni di blocco il contagio virale è divenuto anche un contagio di natura economica,una pandemia occupazionale. Secondo un indice messo a punto da JPMorgan Chase & Co. e IHS Markit, le misure introdotte per contenere la pandemia in Cina hanno “soffocato la domanda”. Il settore manifatturiero mondiale ha così subito la sua contrazione più forte degli ultimi 11 anni, portando a una crisi dell’occupazione in molti paesi poveri: in Bangladesh, per esempio, secondo le stime del sindacato, le fabbriche tessili hanno sospeso o licenziato più della metà dei quasi 4,1 milioni di lavoratori del settore. Spiega l’inchiesta della Cnn: “la maggior parte di loro sono donne che guadagnano circa 110 dollari al mese, spesso l’unica fonte di reddito per le loro famiglie”. L’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) ha lanciato l’allarme: “la pandemia causata dal coronovirus sta mettendo crudelmente in evidenza le disuguaglianze” che abbiamo accumulato dalla fine degli anni ’80. “Alcuni gruppi, come quelli dei lavoratori migranti o appartenenti all’economia informale, sono particolarmente colpiti dalle conseguenze economiche del virus. In tutto il mondo, due miliardi di lavoratori (61,2 per cento della popolazione attiva mondiale) possiedono un’occupazione informale”.
Questa volta, però, occorrerà cercare una strada diversa da quella percorsa dopo l’ultima crisi globale: “Durante il 2008-2009, quando lavoravo all’Ocse, ci domandammo se questa potesse essere l’occasione per dare una spinta al dibattito sullo sviluppo sostenibile e sull’andare ‘oltre il Pil’, temi su cui lavoravamo dal 2001”, ha spiegato il portavoce dell ASviS Enrico Giovannini, sentito da Lifegate.it. Tuttavia, non si prese quella direzione: “Anche nei Paesi dove operavano politici ed esperti vicini a questo modo di pensare, nei fatti la risposta fu centrata sulla creazione di posti di lavoro e la minimizzazione del danno economico”, e il tema dello sviluppo sostenibile fu abbandonato per anni.
Gli impegni assunti dalla comunità internazionale con la firma dell’Agenda 2030 nel 2015, però, potrebbero indicare una nuova strada. L’Agenda, infatti, affronta proprio le tematiche che sono colpite dalla crisi: la salute, il lavoro, l’istruzione. “Sperare di tornare semplicemente allo stato pre-crisi, magari adottando ricette vecchie tutte centrate sulla dimensione economica, significherebbe fare un grandissimo errore” conclude Enrico Giovannini. Questa situazione avrà effetti anche su una “nuova metrica di leadership e credibilità internazionale” basata sulla sostenibilità dello sviluppo come efficienza sanitaria, sviluppo digitale e qualità nell’amministrazione pubblica. Scrive Maurizio Molinari: “Gli Stati che avranno dimostrato di saper gestire meglio la pandemia usciranno politicamente più forti da questa crisi globale mentre quelli che l’avranno gestita peggio saranno più deboli”.
“All’improvviso il Coronavirus ha cambiato radicalmente il contesto delle cose e i dati spiccioli” ha scritto in una lettera pubblicata su Repubblica l’economista bengalese e premio Nobel per la pace Muhammad Yunus. “Tutto quello che andrà fatto nella ripresa dovrà portare alla creazione di un’economia consapevole per il singolo Paese e per il mondo intero a livello sociale, economico, ambientale”.
La costrizione all’isolamento ci porta, finalmente, a pensare a cosa stiamo facendo delle nostre vite e cosa stiamo generando come società ed occupazione, ma anche a renderci conto che nessuno nell’era della globalizzazione può salvarsi davvero da solo in quanto parte inscindibile di una comunità. La nostra vita è profondamente connessa a quella degli altri, ancora di più nei grandi centri urbani, nelle zone ad alta densità e nelle metropoli. Sarebbe inutile illudersi di ritrovarsi catapultati, al termine di tutto, in una società nuova, giusta, egualitaria, fondata sul reciproco rispetto, sulla solidarietà e la generosità. Tuttavia è giunto il momento di ripensare il mondo dell’occupazione, le future prospettive del lavoro attraverso la digitalizzazione, l’implementazione necessaria dello smartworking, invitare a svuotare le città per bloccare gli assembramenti, lavorare in un ambiente sicuro e dare valore a quei contesti dove l’ambiente e la sostenibilità sono rafforzati. Zone geografiche e contesti urbani che vivono di traffico e caos dovrebbero valere molto di meno dei contesti che sono sostenibili e rispettosi dell’ambiente.