L’attualità politica ed economica vede i quotidiani italiani interrogarsi sull’efficacia del Piano Colao per l’economia e la ripresa del nostro tessuto economico nazionale. Sui quotidiani, il Piano Colao per il rilancio presentato al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, non manca di suscitare commenti e qualche critica. Scettico sulla realizzabilità dell’intero progetto è Francesco Giavazzi. L’economista ne fa una questione di metodo. “La task force di Vittorio Colao ha già ben ricordato cosa fare. La verità“, sottolinea, “è che i problemi e gli interventi necessari all’Italia sono forse la cosa più nota a chiunque. Sarebbe meglio dedicare più tempo ad eliminare le strettoie che non consentono ai soldi che già ci sono di arrivare ai lavoratori e alle imprese. O ad eliminare gli ostacoli che fermano l’avvio di opere pubbliche già finanziate. Non abbiamo bisogno di altri libri dei sogni con l’Italia digitale in cima alla lista“. Non solo. Sembra esservi anche un’altra questione sempre assente nelle agende dei governi: quella meridionale. Un documento che dovrebbe individuare le priorità di azione nell’ambito di una ripartenza coordinata del Paese non può ignorare la questione meridionale. Il documento composto da 121 pagine e 102 proposte, presenta una grande assenza ingiustificabile: il Sud. Della parte del Paese che più necessita di partire, in questo documento non c’è traccia.“Dov’è il Mezzogiorno nel Piano Colao?”. A chiederselo è il capogruppo PD in consiglio regionale della Calabria, Domenico Bevacqua. A cui vanno aggiunte le numerose critiche degli economisti. “Bisogna fare presto“, incalza Carlo Cottarelli sulle pagine de Il Foglio. “Non credo che servano un commissario al Recovery Fund ne’ l’ennesima task force di esperti convocati soltanto per un’operazione di immagine. Di questo passo”, sostiene l’economista, “non andremo da nessuna parte: l’Italia ha già perso gli ultimi vent’anni e un ulteriore ritardo, in piena emergenza economica, sarebbe letale“, ribadisce Cottarelli. Seguendo tale logica è chiaro il perché del problema meridionale.
Se vi è una parte del paese che rischia di restare indietro quello è il Sud della nostra Penisola. “Il divario fra Nord e Sud verrà colmato solo nel 2020“, così titolava il Corriere della Sera, il 13 settembre 1972, riprendendo un rapporto del Ministero del bilancio e della programmazione economica curato dallo storico professore Pasquale Saraceno. Oggi, la fotografia che ci consegna l’Istat è quella di un’Italia spaccata ancora in due. Solo per citare un dato, nell’ultimo decennio la percentuale dei giovani tra i 15 e i 24 anni che non studiano e non lavorano al Sud ha toccato la soglia del 35% (più del doppio del Nord Italia e della media europea). Storicamente, sebbene Cavour ed altri politici fossero a conoscenza e pronti ad affrontare e analizzare le problematiche del Sud, chi introdusse la questione meridionale nel dibattito pubblico nazionale, non fu un politico bensì un intellettuale, lo storico Pasquale Villari, il quale si può considerare il principale precursore di quel filone di studiosi del Meridione denominati “meridionalisti”. Villari è identificato come un vero e proprio maestro del meridionalismo e di pensiero concreto per lo sviluppo della macro-regione meridionale. Valori e idee che non vengono ripresi nel nuovo piano economico lanciato da Colao e che i meridionalisti tengono a far presente. Secondo Cottarelli nel piano mancano due priorità: “riduzione dei tempi della giustizia e semplificazione burocratica“, a cui possiamo aggiungere la mancanza di un vero segnale nei confronti del Meridione.
Il documento, consegnato al premier Conte è suddiviso in 6 capitoli per altrettante macro-aree di intervento: Imprese e Lavoro, Infrastrutture e Ambiente, Turismo, Arte e Cultura, P.A., Istruzione, Ricerca e Competenze, Individui e Famiglie. Ma non si parla di strategie per il Meridione. Quello che manca sono azioni mirate alla ripresa delle aree più economicamente colpite e depresse del Paese. Quello che molti meridionalisti e deputati del Sud evidenziano è che nel piano sono presenti stimoli di natura essenzialmente fiscale, che hanno dimostrato di funzionare solo per un gruppo molto ristretto di imprese medio-grandi già strategicamente posizionate sui mercati esteri e ad alto profitto, ma non per il grosso del sistema produttivo, rischiando quindi di creare nuove fratture nelle filiere e nei territori, penalizzando quelli più deboli del Sud, nel non dare risposte alle piccole imprese a mercato locale ed interno. Quel sistema produttivo che è caratteristica del Meridione italiano. D’altronde, il Mezzogiorno già prima della pandemia era un territorio in ritardo di sviluppo e l’annosa questione meridionale è sempre stato il tema ed il problema irrisolto di quasi tutti i governi dal post guerra ad oggi.