Il Parlamento Europeo ha approvato in seduta plenaria una risoluzione per riformare la blacklist dei paradisi fiscali, ossia i Paesi non conformi fiscalmente ai principi comunitari: il testo è stato approvato con 587 voti favorevoli, 50 contrari e 46 astensioni.
Tra i criteri da aggiornare, il parlamento ha individuato una maggiore trasparenza sulla titolarità effettiva delle società (come stabilito dalla quinta direttiva antiriciclaggio), l’espansione del requisito di tassazione equa che vada a vigilare non solo sui regimi preferenziali ma anche sulle esenzioni fiscali, e una attenzione maggiore sui prezzi di trasferimento dai volumi non giustificati.
Questi criteri si aggiungono alle caratteristiche più comuni, che sono state identificate dall’OCSE nel 1998 in occasione della pubblicazione del rapporto “Harmful Tax Competition – An Emerging Global Issue”, nei seguenti punti:
- sostanziale mancanza di imposte sui redditi delle imprese costituite nei propri territori;
- assenza, all’interno dei rispettivi ordinamenti giuridici, dell’obbligo per le società ivi costituite di svolgere un’affettiva attività d’impresa nei relativi territori;
- poca trasparenza del sistema legislativo e amministrativo, che consente a determinati soggetti di beneficiare di privilegi in termini di ridotta tassazione dei redditi;
- assenza di alcun meccanismo di scambio delle informazioni fiscali tra tali Paesi e gli altri Stati finalizzato a garantire la potestà impositiva di questi ultimi e a combattere i fenomeni di evasione ed elusione fiscale internazionale.
A partire da questi spunti, il Consiglio e la Commissione sono stati chiamati a riformare la “lista nera” dei Paesi considerati non collaborativi. Una blacklist che è stata istituita nel 2017 e il cui impatto è stato riconosciuto come “positivo, anche se non ancora all’altezza del suo potenziale”. A tal proposito l’europarlamento, citando i dati del Tax Justice Network, ha evideziato che i paesi attualmente parte della lista coprono meno del 2% delle perdite di gettito fiscale a livello mondiale.
Ad oggi, oltre alle 8 giurisdizioni già incluse (Samoa americane, Figi, Guam, Samoa, Oman, Trinidad e Tobago, Vanuatu, Isole Vergini americane), l’UE ha deciso di inserire nella lista delle giurisdizioni non cooperative a fini fiscali anche le Isole Cayman, Palau, Panama e le Seychelles. Queste giurisdizioni non hanno attuato, entro il termine stabilito, gli impegni assunti in materia di riforme fiscali.
L’allegato II delle conclusioni, che contempla le giurisdizioni con impegni in sospeso, riporta inoltre le proroghe concesse a 12 giurisdizioni per consentire loro di varare le riforme necessarie e rispettare gli impegni assunti. La maggior parte delle proroghe riguarda i paesi in via di sviluppo senza un centro finanziario che hanno già compiuto progressi significativi nell’adempimento degli impegni assunti.
16 giurisdizioni (Antigua e Barbuda, Armenia, Bahamas, Barbados, Belize, Bermuda, Isole Vergini britanniche, Capo Verde, Isole Cook, Curaçao, Isole Marshall, Montenegro, Nauru, Niue, Saint Kitts e Nevis, Vietnam) sono riuscite ad attuare tutte le riforme necessarie per conformarsi ai principi di buona governance fiscale dell’UE prima del termine fissato.