Sono quasi centomila le imprese italiane a rischio default nel corso di quest’anno, a causa degli eventi che da due anni stanno colpendo duramente le economie mondiali: pandemia, carenza di materie prime, rincari energetici e nella logistica, crisi russo-ucraina. A lanciare l’allarme sulla tenuta del sistema aziende è l’Osservatorio Rischio Imprese di Cerved, che segnala un rallentamento nel percorso di ripresa della nostra economia dopo il miglioramento riscontrato nel 2021.
Analizzando l’andamento degli indici di rischio di 618 mila società di capitale nel periodo 2019-2022, Cerved ha valutato gli effetti della pandemia e gli impatti della nuova congiuntura sulla rischiosità del nostro sistema di imprese.
I dati del Cerved Group Score – indice di rischio che stima la probabilità di default delle aziende – fanno emergere una nuova crescita della probabilità di fallimento, dopo il picco raggiunto durante il Covid (134 mila, il 21,7% del totale). Tra il 2021 e 2022 – segnala l’osservatorio – le società a rischio di default sono passate dal 14,4% al 16,1% del totale, aumentando di 11 mila unità e portandosi così a quota 99 mila.
In base agli ultimi dati a disposizione, i debiti finanziari iscritti nei bilanci di imprese a rischio di default ammontano a 107 miliardi di euro (il 10,7% del totale), in aumento di 11 miliardi rispetto allo scenario pre-conflitto. Altrettanto gravi i possibili riflessi sull’occupazione: sarebbero infatti 831mila i lavoratori impiegati nelle imprese a rischio di default, pari all’8,5% del totale, in aumento di quasi 129 mila unità rispetto al 2021.
Ad essere più a rischio sono le micro (dal 14,9% al 16,7% quelle in area di rischio) e le piccole imprese (dall’8,0% al 9,9%), già colpite dalla pandemia e più esposte agli effetti dei rincari, con il divario rispetto alle medio-grandi che tende ad ampliarsi.
E le imprese fragili si trovano soprattutto al Sud, dove costituiscono addirittura il 60,1% del totale, aggravando il già ampio gap con il Nord del Paese: le province con i peggioramenti più significativi sono infatti Isernia, il Sud della Sardegna, Matera, Foggia e Cagliari (ma anche Roma), mentre quelle con la maggiore quota di aziende a rischio sono Crotone, Terni, la stessa Isernia, Reggio Calabria, Messina, Siracusa e Cosenza.
A livello settoriale, emerge una rilevane diversificazione dell’indice di rischio: i più impattati dalla congiuntura appartengono prevalentemente a tre comparti di attività: i servizi non finanziari, penalizzati dall’interruzione del percorso di recupero post-Covid; i trasporti e l’industria pesante, che risente in misura maggiore dell’aumento dei prezzi dell’energia e dei materiali. Per quanto concerne l’industria, quelle in area di rischio sono il 12,6% delle imprese che operano nel macrocomparto, in crescita del +1,3%, con un picco più alto per il settore automotive (19,4%, +3,7%.).
“Le stime si basano sull`analisi dell`andamento di 618.000 società di capitale nel periodo 2019-2022 – commenta Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved – valutato attraverso il Cerved Group Score, un indice di rischio che calcola le probabilità di default delle aziende in chiave prospettica. Le tempestive misure di salvaguardia adottate durate la pandemia hanno contribuito a mettere in sicurezza il sistema, e il forte rimbalzo delle performance economiche legate agli effetti del PNRR ha portato a disegnare scenari migliorativi. Tuttavia, le condizioni subentrate nei primi mesi del 2022 – l`aggravarsi dei rincari delle materie prime e il conflitto russo-ucraino, seguiti da inflazione, aumento del costo del debito, phasing out delle misure di sostegno – hanno purtroppo minato la capacità di tenuta di un sistema produttivo già debilitato“.