L’intelligenza artificiale (IA) sta facendo ingresso a pieno titolo tra gli strumenti operativi dell’Agenzia delle Entrate, e presto anche i contribuenti ne faranno esperienza.
Secondo quanto affermato ufficialmente dall’Agenzia stessa in un documento di circa cento pagine reso pubblico il 19 maggio scorso, l’obiettivo principale è accelerare l’attività di selezione delle posizioni da sottoporre ad accertamento o a semplici avvisi bonari, al fine di richiedere spiegazioni sulle incongruenze e discrepanze tra i dati dichiarati ufficialmente e quelli presenti nelle banche dati fiscali.
L’Agenzia delle Entrate precisa che l’applicazione dell’intelligenza artificiale, con l’uso delle metodologie non determina la profilazione dell’intera popolazione dei contribuenti e che l’utilizzo dei dati dell’Archivio, eventualmente interconnesso con altre banche dati dell’Agenzia, ha come unico scopo la selezione di un numero limitato di soggetti con un apprezzabile livello di rischio fiscale.
Si sottolinea che non ci saranno automatismi, poiché il processo di selezione rimarrà sempre sotto il controllo dei funzionari dell’Agenzia.
Tuttavia, la realtà sembra essere un po’ diversa. È noto a tutti coloro che hanno avuto a che fare con il fisco che le banche dati utilizzate dall’Agenzia delle Entrate contengono numerosi errori, lacune e incompletezze.
Algoritmi elaborati dall’intelligenza artificiale, che operano su dati errati non possono che generare accertamenti o avvisi bonari privi di fondamento. Non a caso, il Garante privacy ha più volte messo in guardia sui rischi che le procedure automatizzate comportano, come la produzione di atti che contengono false rappresentazioni delle capacità contributive di cittadini e imprese.
Il contribuente senza difesa rispetto all’uso dell’Intelligenza artificiale.
Il problema è che il contribuente rimarrà all’oscuro fino alla fine del processo che si sta svolgendo alle sue spalle. Solo quando riceverà il controllo o l’avviso di rettifica potrà richiedere accesso ai dati utilizzati per la produzione dell’atto che gli è stato recapitato.
Tuttavia, ottenere tali informazioni non sarà né semplice né veloce. È vero che in teoria ci si potrebbe avvalere di vari strumenti di difesa, come l’istanza di autotutela o l’apertura di un contenzioso, ma in ogni caso l’onere della prova è già stato invertito e difendersi contro gli algoritmi dell’Agenzia delle Entrate senza conoscere i dettagli dei dati utilizzati con l’intelligenza artificiale, per la produzione dell’atto è come combattere con un braccio legato dietro la schiena.
L’impressione, sebbene si spera che i fatti smentiscano questa percezione, è che ci sia ancora molta strada da fare per evitare una semplice “pesca a strascico”. Non tanto per quanto riguarda i controlli, ma piuttosto per gli avvisi bonari, che sono molto più facili da gestire per l’Agenzia delle Entrate.
Di fatto, il fisco mantiene una posizione di privilegio rispetto al contribuente: infatti, nessuno saprà mai esattamente come funziona l’algoritmo utilizzato, se ad esempio contiene errori evidenti (come accade anche ai migliori algoritmi) o se presenta falle che emergono solo nel corso degli anni. Inoltre, le categorie professionali, che avrebbero potuto dare un contributo significativo nella fase dei test, non sono state coinvolte in alcun modo.
La digitalizzazione dell’attività di accertamento, incluso l’utilizzo dell’IA, è un processo previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), e quindi in qualche modo vincolante anche per l’Agenzia delle Entrate, che potrebbe avere difficoltà a fermarsi anche se emergessero gravi problematiche: per non perdere i finanziamenti del Pnrr, è necessario procedere avanti come un Caterpillar. I problemi dei contribuenti saranno affrontati successivamente, tanto cosa importa se nel tritacarne ci finiscono i cittadini e le imprese?
Non vi è dubbio che l’introduzione dell’intelligenza artificiale nell’operato dell’Agenzia delle Entrate rappresenta un passo significativo verso la digitalizzazione del processo di accertamento fiscale. Tuttavia, sarà fondamentale che siano affrontati i problemi legati alla qualità dei dati utilizzati con l’intelligenza artificiale e alla trasparenza degli algoritmi impiegati. È necessario coinvolgere le categorie professionali e garantire ai contribuenti il diritto di accesso alle informazioni utilizzate per prendere decisioni che li riguardano direttamente. Solo in questo modo si potrà garantire una gestione equa ed efficace dei rapporti fiscali tra l’Agenzia delle Entrate e i contribuenti, evitando potenziali ingiustizie e rendendo il processo di accertamento fiscale più trasparente e comprensibile per tutti.
In caso contrario, aumenteranno i contenziosi e la magistratura tributaria, si vedrà costretta ad intervenire al posto del legislatore. D’altronde è ciò che accade puntualmente in Italia.