è quanto stabilito dalla Cassazione che, con sentenza 868 del 16/1/2019, ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate che aveva contestato a una multinazionale l’acquisto di un pacchetto azionario di una controllata ricorrendo ad un prestito bancario nonostante i bilanci positivi e quindi ottenere una riduzione dell’imposta.
Per l’ufficio delle Entrate, una società florida non sarebbe dovuta ricorrere a un finanziamento come tale deducibile e dunque fiscalmente più conveniente. La sezione tributaria ha dunque sdoganato le operazioni cosiddette Leverged buy-out.
E la valida ragione economica, che fa dell’affare un’operazione con contestabile dal fisco sul fronte elusione, è l’ingresso di due nuovi soci finanziatori.
L’intera decisione poggia sul principio secondo cui «il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il cui fondamento si rinviene nell’art, 37-bis del dpr 29 settembre 1973, n. 600, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei a ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di ragioni economiche apprezzabili, che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici, con la conseguenza che il carattere abusivo va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, che non necessariamente si identificano in una redditività immediata, potendo consistere in esigenze di natura organizzativa e in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda».
Più in particolare con riferimento con riferimento ai processi di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale effettuati nell’ambito di grandi gruppi di imprese, gli Ermellini hanno ricordato che il divieto di comportamenti abusivi, fondati sull’assenza di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale, «non vale ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti».