Abrogazione dell’Irap? Ok ma per colmare il minor introito di 25 miliardi di euro servono nuove tasse o l’incremento di quelle esistenti. A parlare senza mezzi termini è stata di recente Fabrizia Lapecorella, direttrice del Dipartimento delle finanze del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in risposta a una domanda sulla possibilità di far confluire l’Irap nell’Ires, l’imposta sul reddito delle società.
La direttrice ha spiegato che su un totale di Irap privata pari a 14,5 miliardi, la componente maggiore, ossia gli 11,6 miliardi complessivi dichiarati da società di capitali, può essere compensata da un’addizionale Ires che tuttavia, sulla base di una base imponibile complessiva di 140,5 miliardi dichiarata nel 2018, per determinare lo stesso gettito dovrebbe corrispondere a un +8,3%.
Vale a dire che l’aliquota Ires raggiungerebbe quota 32,3%: un numero piuttosto elevato, per non dire sproporzionato, se raffrontato con la media dei paesi dell’Unione Europea e dell’Ocse. Ecco allora la legge dei vasi comunicanti: ciò che togli da una parte finisce nell’altra, ma sempre a carico delle imprese.
Imprese che dalla direttrice Lapecorella non hanno avuto buone notizie nemmeno rispetto alla flat tax, che risulterebbe essere “a rischio incostituzionalità e con controindicazioni ovvie sul fronte dell’equità visto che si consentirebbe un regime di favore a chi ha un reddito incrementale”. Conti alla mano, l’abbattimento dell’imposta causerebbe allo Stato una perdita di almeno 3 miliardi annui in un momento in cui si pensa a una riforma del sistema fiscale più ampia che includa una situazione del tutto nuova emersa con l’emergenza coronavirus.