Un rapporto speciale diffuso dalla European Court of Auditors mette in luce una situazione di totale confusione da parte dell’Unione Europea nelle politiche di contrasto al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo, nonostante le operazioni sospette in Europa abbiano un valore stimato di centinaia di miliardi di euro. Mentre Paesi europei come Malta e Romania sono state inserite in una lista grigia da parte dell’organismo di vigilanza internazionale FAFT-GAFI, con possibili conseguenze negative per le rispettive economie, dal rapporto emerge che di fatto, in Europa, non esistono norme condivise sull’antiriciclaggio.
Come riporta Italia Oggi, “ad oggi, l’Unione non ha ancora adottato un proprio elenco dei paesi terzi ad alto rischio che costituiscono una minaccia di riciclaggio per il mercato interno. E l’Autorità bancaria europea (Abe), che pure ha poteri di indagine sulle possibili violazioni del diritto, quasi mai se ne è avvalsa e dal 2010 ha riscontrato solo una violazione connessa al riciclaggio di denaro e al finanziamento al terrorismo. Mentre la Commissione non dispone di orientamenti interni per trasmettere le richieste d’indagine all’Abe. L’esito finale è che ogni Stato membro decide autonomamente cosa fare e come combattere il riciclaggio.“
Secondo la Corte, all’Ue serve un quadro di supervisione più forte e uniforme contro il riciclaggio di denaro: malgrado il ruolo di orientamento strategico e coordinamento che hanno assunto i vari organi europei in questo campo, di fatto l’azione è ancora gestita a livello nazionale e l’Unione ha un ruolo marginale.
Così succede che Malta rientra tra i Paesi in lista grigia perché nell’ultimo anno non avrebbe istituito un registro dei beneficiari effettivi delle società registrate: circostanza, peraltro, non del tutto veritiera perché quasi da tre anni la legge maltese obbliga le società a conservare e trasmettere informazioni adeguate, accurate e aggiornate sui loro titolari e beneficiari effettivi.
Mentre, allo stesso tempo, l’Italia tale registro non l’ha ancora mai istituito, e l’assenza di norme mette in difficoltà gli operatori onesti aprendo il fianco ad abusi. Tuttavia le operazioni sospette sono ben note, in primis attraverso i bancomat per bitcoin, utilizzati per ripulire denaro sporco attraverso un conto anonimo dove depositare le criptovalute. Nella sua ultima relazione, l’Unità di informazione finanziaria (Uif), l’ente che si occupa di antiriciclaggio per conto della Banca d’Italia, riferisce che nel 2020 “ulteriori analisi si sono incentrate sul fenomeno dell’acquisto/vendita di criptovalute mediante dispositivi atm, installati presso i locali commerciali di società italiane che operano per conto di un Vasp (fornitore di servizi di asset virtuali, ndr) estero”.
Il problema davvero enorme, quindi, è la frammentarietà e disomogeneità delle giurisdizioni europee in materia di antiriciclaggio, che porta alcuni Stati ad essere sanzionati pesantemente pur prevedendo talvolta sanzioni o misure più severe di altri Paesi, nei quali le misure e gli strumenti di difesa contro i crimini finanziari non vengono inaspriti e il fenomeno del riciclaggio si espande, con pesanti conseguenze anche per il mondo delle imprese.