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Biden e la tutela del Made in USA: nuove dinamiche per le imprese italiane

Il Presidente intende rendere più difficile per le agenzie governative acquistare prodotti stranieri

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Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, facendo seguito all’ordine esecutivo, emanato in occasione del suo insediamento, che rafforzava le disposizioni del “Buy American Act“, legge che obbliga le agenzie federali ad acquistare beni e servizi prodotti negli Stati Uniti, il 30 luglio scorso, tramite una “Notice of Proposed Rulemaking” (NPRM), ha annunciato l’intenzione di apportare alcune modifiche al Buy American Act. L’Amministrazione intende innalzare la percentuale del prodotto che deve provenire da aziende americane. Attualmente per essere acquistato da un’agenzia federale un bene deve essere composto per il 55% da componenti prodotti negli Stati Uniti, la proposta è di alzare la soglia al 65% entro il 2024 e poi al 75% entro il 2029. La riforma prevede l’adozione di prezzi preferenziali per tutti i prodotti e componenti identificati come vitali nella revisione delle “Critical Supply Chains” e nella strategia di tutela e rafforzamento delle catene di approvvigionamento USA in risposta alla pandemia. L’Amministrazione punta ad incoraggiare trasparenza e responsabilità da parte delle aziende, implementando nuove regole per la rendicontazione e la verifica della provenienza dei prodotti.

Una decisa inversione di rotta per quanto concerne il ruolo degli Usa nello scacchiere del commercio internazionale. Il Wto negli ultimi anni aveva subìto le rappresaglie di Washington, che ne avevano paralizzato le attività, ma con Biden si sta scrivendo uno stop all’isolazionismo e dando vita un inedito protezionismo multilaterale. Buy American, Make it in America, Innovate in America, Invest in all of America, Stand up for America, Supply America: tra i punti programmatici del manifesto di Joe Biden che teoricamente non sfigura quell’ “America First” che con Donald Trump ha vissuto una nuova epoca d’oro, e che secondo Biden non è stato rispecchiato dai fatti. Gli appalti governativi, che valgono quasi 600 miliardi di dollari all’anno, assegnati a imprese estere sono cresciuti del 30% negli ultimi quattro anni, ha recentemente denunciato, durante campagna elettorale, l’esponente democratico. Nelle intenzioni del nuovo presidente c’è un piano di investimenti da 400 miliardi di dollari sugli approvvigionamenti e di 300 miliardi in ricerca e sviluppo e nuove tecnologie, che dovranno alimentare esclusivamente l’economia Made in USA. Biden intende rendere più difficile per le agenzie governative acquistare prodotti stranieri, aumentare la percentuale di beni locali e utilizzare parametri come la creazione di posti di lavoro nella definizione di ciò che è “made in Usa”. Il nuovo indirizzo mira anche a garantire che le piccole e medie imprese possano avere un migliore accesso alle informazioni necessarie per presentare offerte per i contratti governativi.

Nuove logiche che influenzeranno l’export e la cooperazione commerciale con le imprese italiane. Tuttavia, gli USA e la nuova amministrazione democratica guardano con interesse all’Italia, come alleati politici e commerciali ed importante diviene comprendere anche gli scenari positivi che possono innestarsi dal protezionismo morbido di Biden. Sembrano messe in secondo piano le possibili conseguenze di una esacerbazione del protezionismo e delle nuove restrizioni al sistema delle eccezioni con i principali partner commerciali. Se i prodotti di eccellenza italiani godrebbero sempre del proprio brand di qualità, numerosi problemi potrebbero sorgere con gli appalti pubblici. A tal proposito, sebbene in materia di appalti pubblici la legislazione europea e quella dell’Italia, sia più aperta alla concorrenza straniera rispetto a quella statunitense, le nuove restrizioni delineate dall’Amministrazione Biden potrebbero indurre l’Unione europea a riscrivere le proprie commesse pubbliche alle imprese USA, in un processo in cui, nel tentativo di tutelare mediante legislazioni discriminatorie i propri lavoratori e imprese a scapito di quelli altrui, si innalzano barriere svantaggiando la competitività. Allo scopo di accendere un faro sugli appalti pubblici gestiti mediante il sistema delle eccezioni, Biden ha costituito un ufficio per il Made in America direttamente in seno alla Casa Bianca, inquadrato all’interno dell’Office of Management and Budget.

Le nuove proposte USA avranno conseguenze anche sul piano interno, poiché i fornitori domestici dovranno adeguare la propria catena logistica di approvvigionamento per assicurare il rispetto della normativa più restrittiva. Processo che in alcuni casi potrebbe essere complesso e, se non governato correttamente, potenzialmente in grado di esporre le imprese al rischio di contenziosi con il Dipartimento di giustizia. Indifferentemente dal colore politico e dalle finalità politiche di questi diversi protezionismi, quello che appare non più rinviabile è che l’orizzonte di apertura incondizionata, competitività internazionale e integrazione commerciale globale che ha condizionato, almeno teoricamente, le visioni economiche durante gli ultimi decenni di processo economico globalizzato sta lasciando spazio a una visione differente dell’economia, in cui le necessità di sviluppo locale, innovazione sostenibile, difesa dei diritti dei lavoratori e di difesa di industrie strategiche nazionali tornano a guadagnare importanza. 

Tale impostazione non rappresenta la fine dei rapporti commerciali internazionali ma solo un rafforzamento delle opportunità vere, della qualità, del rispetto della sostenibilità, rispetto dei professionisti, adeguati compensi, adeguati diritti, difesa e costruzione di un sistema di relazioni economiche basato sul merito e sull’eccellenza e non sul ribasso e sullo sfruttamento tipico di numerose realtà imprenditoriali lontane dall’idea stessa di innovazione e rispetto. Giusto riflettere su tali dinamiche poiché la nuova visione del capitalismo e dell’economia globale giunge dagli USA e non da qualche Paese dal socialismo realizzato, reale, parziale o ideale.

Domenico Letizia
Domenico Letizia
Giornalista.
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