La Blockchain sta pian piano entrando nelle nostre vite. Il sistema a “catena di blocchi“, col passare dei giorni, riscuote sempre più attenzione e trova nuove opportunità di applicazione per incidere nella sicurezza e nella trasparenza di una serie innumerevole di processi che coinvolgono le relazioni tra le persone e il trasferimento o la conservazione di informazioni.
Si tratta infatti di un’alternativa più che valida in termini accessibilità, affidabilità e costi alle banche dati e ai registri gestiti in maniera centralizzata da autorità riconosciute e regolamentate come pubbliche amministrazioni, banche, assicurazioni, intermediari di pagamento.
Tra le forme di applicazione fino ad oggi più diffuse del sistema a catena, troviamo senz’altro l’ambito monetario. Le criptovalute come i Bitcoin si stanno affermando come mezzi di scambio a livello globale, capaci di sostituire le valute tradizionali restando fuori dal controllo degli Stati, ma rendendosi immutabili e accessibili a tutti senza la necessità di permessi.
Resta tuttavia un approccio articolato, e non omogeneo, nel trattamento dei più importanti Paesi del mondo rispetto a tali sistemi crittografici. Basti pensare che in alcuni Stati importanti come la Cina e l’India le criptovalute sono vietate, mentre altri Paesi come gli Stati Uniti, il Canada, il Regno Unito e altri, hanno semplicemente deciso di trattare tali beni “de facto”, ossia allo stesso modo in cui trattano le azioni e i titoli quando si tratta di applicare una relativa tassazione.
Esiste poi un gruppo di Paesi, invece, dove le criptovalute sono state accolte favorevolmente attraverso processi di regolamentazione, equivalenti a un sostanziale riconoscimento, e detassazione, ovvero a forme di incentivo. Ecco alcuni esempi di Paesi nei quali tale approccio verso la nuova tecnologia sta diventando un punto di forza, trasformando un luogo in ambiente ideale di lavoro e di vita per commercianti e investitori di tutto il mondo.
In Portogallo, il commercio tramite criptovalute è esente sia dall’imposta sul valore aggiunto (IVA), sia dalle plusvalenze e dalle imposte sul reddito. Tali esenzioni fiscali, tuttavia, si applicano solo alle attività private che utilizzano beni digitali privati. Se le valute crittografiche fanno parte dell’attività commerciale, come ad esempio la gestione di una borsa valori crittografica, di un fondo speculativo crittografico o l’avvio di una catena di blocco, si applicano le normali aliquote d’imposta che ammontano al 21% del reddito. Nell’ambito del Programma di Residenza portoghese per gli investitori, per poter vivere temporaneamente in Portogallo e godere del trattamento fiscale privilegiato riconosciuto all’attività digitale, il richiedente deve acquistare immobili per un valore di 500.000 euro, o di 350.000 euro nelle aree di rigenerazione urbana.
La Germania ha un approccio simile a quello del Portogallo nei confronti degli investitori di criptovaluta e delle attività connesse alla crittografia. Bitcoin e altri beni crittografici non sono considerati valute, titoli o materie prime, ma piuttosto un mezzo di pagamento privato e sono quindi esenti da IVA. Secondo la legge tedesca sull’imposta sul reddito, gli investitori in criptovalute non sono tassati per la detenzione dei loro gettoni fino ad un anno e per il loro commercio privato, a condizione che il profitto totale delle transazioni di vendita private sia inferiore a 600 euro in un anno. Tutto ciò che va oltre tale importo è tassato. Se gli investitori detengono i loro beni virtuali per più di un anno, non pagano le imposte sui guadagni in conto capitale. Tuttavia, le imprese che operano con valuta criptata devono pagare le imposte sul reddito delle società, che ammontano al 15%. Anche se la Germania non ha un programma di residenza per gli investitori, chi spende 350.000 euro in cinque anni sotto forma di acquisto di un bene immobile per 250.000 euro e un investimento aggiuntivo di 100.000 euro pagato in un fondo di sviluppo per cinque anni può ottenere la residenza legale tedesca in via temporanea.
Infine, ma non ultima, arriva Malta, che ha adottato l’approccio più amichevole nei confronti di chi detiene o scambia criptovalute: tali operatori non devono pagare alcuna tassa. La cittadinanza maltese o la residenza ottenuta attraverso un programma di investimento è invece nel bel mezzo di una riforma che ha alzato la soglia dell’importo totale da investire a un milione di euro. Ma la regolamentazione adottata nell’arcipelago del Mediterraneo è stata la più veloce e approfondita a livello globale, arrivando a riconoscere e tutelare gli investitori che credono nella catena di blocchi tanto da essere definita la “Blockchain Island“.