Con la sentenza n. 4464 del 9 febbraio 2022 la Corte di Cassazione ha sancito che un contribuente può essere assolto dall’accusa di evasione fiscale se è in grado di dimostrare di essere stato frodato dal commercialista, al quale ha affidato il denaro per il pagamento delle imposte.
La Suprema Corte di Cassazione ha così accolto il ricorso di un imprenditore che, dopo essere stato accusato per indebita compensazione dei crediti Iva, aveva denunciato il professionista per appropriazione indebita, portando una testimonianza circa la consegna dei soldi al consulente.
Secondo la difesa, che ha dovuto ricorrere alla terza sezione penale, la Corte territoriale aveva omesso di valutare adeguatamente la denuncia-querela per appropriazione indebita che lo stesso imprenditore aveva presentato nei confronti del commercialista a cui aveva affidato la contabilità dell’impresa e le dichiarazioni rese, sui fatti, da una testimone chiave.
Riguardo al reato di indebita compensazione di crediti ex art. 10-quater, è stato quindi ricordato che, sotto il profilo soggettivo, l’inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l’Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, ingannando il fisco.
Quando invece vengono dedotti crediti non spettanti, sebbene certi nella loro esistenza e ammontare, occorre provare la consapevolezza, da parte del contribuente, che il credito non sia utilizzabile in sede compensativa.