L’Unione Europea, negli ultimi anni, ha assistito a una notevole evoluzione nella sua politica fiscale. La competizione fiscale non è più incentrata solo sull’attrazione di società, ma si è spostata verso gli ultra-ricchi e i lavoratori mobili.
Questo cambiamento è stato influenzato dalla globalizzazione e dalla digitalizzazione, e ancor di più dalla pandemia, che ha visto un aumento dei cosiddetti “nomadi digitali”. In risposta a questa nuova realtà, i governi europei hanno adottato approcci innovativi per attirare individui con patrimoni elevati e lavoratori altamente qualificati, e uno degli strumenti principali è stata la revisione delle aliquote fiscali.
L’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF in Italia) rappresenta una delle principali fonti di entrate per i paesi dell’UE. Tuttavia, con la crescente mobilità delle basi imponibili, la competizione tra i paesi per attirare questi contribuenti è diventata più intensa. Uno studio del Parlamento europeo del 2022 ha dimostrato che gli individui con un patrimonio netto elevato sono altamente sensibili agli incentivi fiscali, il che significa che anche piccoli cambiamenti nelle politiche fiscali possono spingerli a cambiare residenza. Questo pone in evidenza l’importanza di regolamentare questi regimi fiscali preferenziali all’interno degli stati membri dell’UE.
La competizione fiscale per le persone fisiche rientra al momento al di fuori delle competenze sia dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), che si occupa dei regimi fiscali dannosi per le imprese, che del Codice di Condotta per la Tassazione delle Imprese dell’Unione Europea, un gruppo che promuove la concorrenza fiscale leale nel Consiglio UE. Tuttavia, sia la Commissione europea che il Parlamento europeo hanno sottolineato la necessità di un’azione coordinata a livello UE per affrontare questa sfida fiscale emergente.
La competizione fiscale e la distorsione economica
Uno dei principali problemi legati ai regimi fiscali preferenziali per le persone fisiche è la possibile creazione di distorsioni economiche all’interno degli stati membri. Questo accade quando aliquote fiscali diverse vengono applicate a contribuenti con lo stesso reddito, violando il principio di equità orizzontale. Inoltre, questi regimi rischiano di rendere più difficile per i sistemi fiscali contribuire alla redistribuzione della ricchezza, uno degli obiettivi chiave della politica fiscale.
Studi condotti in Europa suggeriscono che i cittadini meno mobili all’interno dell’UE potrebbero subire aumenti dell’imposta sul proprio reddito per compensare la perdita di entrate causata da questi regimi. La competizione fiscale tra paesi europei può portare a un circolo vizioso in cui ciascun paese abbassa le aliquote fiscali per attirare individui con patrimoni elevati, riducendo così le entrate e costringendo altri paesi a fare lo stesso per rimanere competitivi.
Un altro aspetto rilevante della competizione fiscale è che questi regimi preferenziali comportano un costo significativo per i paesi dell’UE. Secondo le stime dell’Osservatorio fiscale dell’Unione europea, questi regimi costano alle casse dei paesi dell’UE circa 4,5 miliardi di euro all’anno, con almeno 200.000 individui che ne beneficiano nell’UE e nel Regno Unito. Mentre alcuni Stati membri possono inizialmente trarre vantaggio dall’attrarre individui con patrimoni elevati, questo comporta un costo per altri paesi membri, un fenomeno simile a quanto accade nella tassazione delle società.
Pro e contro dei regimi fiscali preferenziali.
È importante notare che, nel breve termine, questi regimi preferenziali possono aumentare le entrate di uno stato membro grazie all’incremento della base imponibile e ai benefici economici derivanti dal consumo e dall’investimento dei nuovi residenti. Tuttavia, se questa competizione fiscale non è coordinata, potrebbe erodere significativamente le basi imponibili di tutti gli Stati membri dell’UE a lungo termine, riducendo il finanziamento disponibile per la spesa pubblica e i servizi essenziali.
L’evoluzione competizione fiscale in Europa è evidente anche nei numeri. Nel 1998, solo cinque paesi in tutto il mondo offrivano esenzioni e aliquote speciali per gli individui stranieri altamente qualificati e con un elevato patrimonio. Nel 2021, questo numero è salito a 28, dimostrando la crescita di questa pratica a livello globale.
I regimi fiscali preferenziali possono variare notevolmente nella loro progettazione. Alcuni si rivolgono agli individui in base al loro livello di reddito, offrendo tassi forfettari e somme forfettarie. Questi regimi non sono progressivi, poiché trattano tutti i beneficiari allo stesso modo. Altri regimi si basano sul tipo di attività economica svolta e forniscono benefici fiscali in base alla professione o alle qualifiche degli individui. Questi programmi solitamente sono concessi a condizioni specifiche e possono avere una durata limitata.
Di contro va anche sottolineato che la sovranità fiscale di uno Stato, è un principio fondamentale che consente allo stesso di determinare le proprie politiche fiscali in modo autonomo e in linea con i suoi obiettivi economici e sociali. In questo contesto, è legittimo per uno Stato proporre regimi fiscali che mirano ad attirare investimenti nel proprio paese. Questi regimi possono essere strumenti efficaci per promuovere la crescita economica, creare posti di lavoro e stimolare l’innovazione.
La capacità di adattare le politiche fiscali alle esigenze specifiche di uno Stato è essenziale per affrontare sfide economiche, promuovere lo sviluppo e stare al passo con la competizione fiscale. Tuttavia, è importante che tali regimi siano progettati in modo trasparente, equo e in conformità con le normative internazionali per evitare abusi o pratiche sleali che potrebbero danneggiare altri Stati o compromettere la stabilità finanziaria globale. In questo modo, uno Stato può esercitare la sua sovranità fiscale in modo legittimo, bilanciando gli interessi nazionali con le responsabilità internazionali.
Le sfide dell’Italia nella competizione fiscale europea e globale.
Negli anni passati, i governi italiani hanno spesso adottato una posizione critica nei confronti degli incentivi fiscali offerti da altri Stati europei, come Malta, Cipro, Irlanda e Portogallo. Questi paesi hanno implementato politiche fiscali che attraggono individui ad alto reddito e imprese multinazionali, offrendo aliquote fiscali notevolmente più basse rispetto all’Italia.
Questa situazione ha portato a una fuga di capitali e di talenti dall’Italia verso queste giurisdizioni più favorevoli dal punto di vista fiscale. L’Italia, nel frattempo, è rimasta spesso ancorata a politiche fiscali tradizionali e aliquote elevate, creando una disparità di attrattività fiscale.
Questa critica è stata spesso legittima, poiché ha evidenziato la necessità per l’Italia di rivedere la sua politica fiscale al fine di rimanere competitiva in un ambiente europeo sempre più concorrenziale.
Tuttavia, è importante riconoscere che, come spiegato in precedenza, tale competizione fiscale può comportare rischi di erosione delle basi imponibili e di una distribuzione non equa della ricchezza, mettendo in contraddizione la necessità di garantire servizi e standard di vita uniformi per i cittadini e le imprese in tutta Europa con la pressione fiscale competitiva esercitata da alcuni Stati membri.
L’Italia, come altri paesi europei, si trova quindi di fronte alla sfida di bilanciare la sua posizione sulla competizione fiscale con l’obiettivo di assicurare una distribuzione equa della ricchezza e al contempo garantire servizi di alta qualità per i suoi cittadini e un ambiente favorevole per le imprese.