La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza della sez. 5 numero 17189 del 26/05/2022, ha precluso all’Agenzia delle Entrate nuovi motivi in appello che non siano stati contestati al contribuente nella sede del processo verbale di constatazione o nell’avviso di accertamento.
La decisione è arrivata in seguito all’accertamento da parte dell’Agenzia, nei confronti di una concessionaria di automobili, di maggiore IVA e relative sanzioni per illegittimo utilizzo del regime del margine di profitto nel settore degli autoveicoli provenienti dall’Unione Europea.
Il caso è finito in appello, dove il contribuente ha rimarcato che, al fine di prevenire eventuali azioni fraudolente di IVA, si era premurato di identificare i cedenti e sincerarsi che essi fossero effettivamente delle persone fisiche, dimostrando di avere correttamente utilizzato il regime IVA agevolato.
Da qui si è finiti in Cassazione, con l’Agenzia delle Entrate che contestava la corretta annotazione delle operazioni degli acquisti in fattura, cercando di dimostrare come il contribuente avesse acquistato autoveicoli da rivenditori tedeschi. “Questo fatto – riporta ItaliaOggi.it – ovviamente avrebbe scardinato il presupposto per poter usufruire del regime del margine IVA oggetto della contestazione del fisco, ma tale motivo, emerso solo in secondo grado, era stato già stimmatizzato dal giudice in appello in quanto bollato come motivo nuovo introdotto solo in sede di gravame e pertanto inammissibile.”
La Suprema Corte ricorda dunque che nel processo tributario vige il divieto, anche per l’amministrazione finanziaria, di mutare i termini della contestazione, i quali devono essere circoscritti a quelli che si possono ritrovare nell’avviso di accertamento, il quale attinge i suoi motivi nel P.V.C..