Il fisco costringe oltre 100mila PMI con attività in perdita a pagare le tasse. In questi casi il 24% delle società passa da una perdita civilistica ad un reddito imponibile con il conseguente obbligo di pagare le imposte. Il dato emerge dalle statistiche dei dati Ires (anno di imposta 2018) pubblicato dal dipartimento delle finanze. Il contesto macroeconomico nel 2018 è stato caratterizzato da una moderata crescita del Pil (+2% in termini nominali e +0,9% in termini reali).
Nell’anno d’imposta 2018, le dichiarazioni delle società di capitali sono state 1.229.010, in crescita rispetto all’anno precedente (+2,6%). L’89,7% delle società di capitali è una PMI a responsabilità limitata. Il 64% dei soggetti ha dichiarato un reddito d’impresa rilevante ai fini fiscali, mentre il 29% ha dichiarato una perdita e il 7% ha chiuso l’esercizio in pareggio. Il reddito fiscale dichiarato, pari a 174,5 miliardi di euro, mostra un leggero incremento (0,7%). Tra i settori in cui si riscontra un incremento del reddito vi sono: “attività dei servizi di alloggio e ristorazione” (+9,4%), “commercio all’ingrosso e dettaglio” (+8,8%) e “costruzioni” (+8,1%). L’ammontare della perdita fiscale, pari a 53,8 miliardi di euro, subisce un decremento del 15,7%. La riduzione della perdita è concentrata nel settore finanziario (-54%), in continuità rispetto all’anno precedente.
Post rettifiche e variazioni in aumento crescono al 64% con i soggetti che dichiarano un reddito d’impresa rilevante ai fini fiscali, scende al 29% la percentuale delle PMI in perdita, passa al 7% quella delle società che terminano l’anno in pareggio. L’incidenza di questo fenomeno è molto rilevante nel settore immobiliare dove ben il 39% delle imprese con risultato in perdita si trova a fine anno invece con utile tassabile. Per questi soggetti l’effetto è correlato principalmente alla parziale deducibilità dell’Imu, imposta molto onerosa. Notevole anche il peso della limitazione alla deducibilità degli interessi passivi disposta dell’art. 96 Tuir. Arrivano a 30 miliardi gli interessi passivi iscritti in bilancio dalle società nel 2018 ma di questi, compresa la quota di ulteriori 39,5 miliardi relativi ad annualità precedenti, solo il 37,7% risulta essere deducibile.
Circa il 64% dell’imposta proviene da tre settori: quello manifatturiero (31,9%), il commercio all’ingrosso e al dettaglio (20,8%) e le attività finanziarie e assicurative (10,4%). La pandemia sta generando nuove prospettive, cambiamenti e preoccupazioni per gli imprenditori che devono imparare a diversificare e proteggere i propri capitali. Ciò che viene evidenziato dagli esperti del settore è l’intervento degli Stati all’interno dei circuiti del mercato per preservare il capitale di banche e assicurazioni. Una “repressione finanziaria”, così definita dagli analisti economici, utile a “reprimere” i tassi di interesse verso il basso. Queste logiche s’innescano ogni volta che vi è un forte intervento dello Stato nei confronti del mercato. Tuttavia, tali dinamiche permettono di poter investire in settori economici quali la digitalizzazione e la green economy, rami economici che allo stato attuale sono oggetto di attenzione e finanziamenti, sia da parte delle autorità pubbliche che da quelle private.
Il concetto d’investimento sostenibile denota una strategia che nelle decisioni d’investimento tiene conto sia degli aspetti ambientali, sociali e di governance (Esg) che dei criteri di valutazione tradizionali. Lo scopo è generare rendimenti finanziari allettanti, in modo sostenibile e spesso in sintonia con i valori personali di clienti fortemente legati a logiche etiche. Per muoversi in queste dinamiche, gli assicuratori stanno cercando di comprare e investire in quelli che sono i “real asset” dell’economia, come gli investimenti nell’oro, l’innovazione, l’energia rinnovabile e l’immobiliare. È importante ricordare che anche i governi stanno investendo molto in alcuni settori quali quello della digitalizzazione, della robotizzazione, della sicurezza informatica e delle infrastrutture innovative e tali manovre di capitale rendono appetibile il settore per tali investimenti, nonostante la forte crisi economica che stiamo vivendo.
Con la bassa crescita economica, gli utili delle PMI saranno più bassi e ciò vuol dire che vi è necessità di diversificare l’economia e quindi anche le proposte e soluzioni di investimento. “Diversificare i campi dell’economia”, puntando sulle priorità dell’attualità che nell’immediato futuro possono rappresentare pilastri fondamentali dell’assetto sociale europeo e italiano.