È la rottamazione degli studi di settore? Forse.
Quegli odiosi meccanismi che, specie negli ultimi anni di crisi, hanno creato più di un problema alle partite Iva oltre che alle piccole e medie imprese, potrebbero finire in soffitta. A dare una spallata, ieri, allo strumento creato per accertare e determinare i redditi di imprese, lavoratori autonomi e professionisti è stata Rossella Orlandi: se un imprenditore ha motivi seri, certi e documentabili per non adeguarsi allo studio di settore non deve adeguarsi. Quello che ha detto il direttore dell’agenzia delle Entrate per certi versi non è una novità clamorosa: tuttavia se a parlare in questi termini è il numero uno del fisco italiano il quadro cambia drasticamente. Il messaggio «politico» è forte.
Addio studi di settore – Nel dettaglio, Orlandi ha spiegato che gli studi di settore «non sono uno strumento catastale, ma uno strumento di accertamento e nessuno è obbligato a pagare per reddito che non ha. Se siete convinti che i vostri dati siano corretti non adeguatevi». Più che un chiarimento (del quale non ci sarebbe bisogno), quello di «lady fisco» pare un invito: verificate bene i vostri conti e lasciate stare gli studi di settore. Se ci sarà una profonda riforma è presto per dirlo. In ogni caso, è evidente il tentativo di Orlandi di «umanizzare» l’amministrazione tributaria cercando di migliorare il dialogo tra Stato e cittadini. Obiettivo evidente anche quando il numero uno del fisco ha parlato della nuova dichiarazione dei redditi precompilata: «l’agenzia delle Entrate non ha mai fatto campagne terroristiche» sul nuovo 730. «Mi auguro che questa importante riforma – ha aggiunto- venga portata a fondo», ma «bisogna evitare contrapposizioni che non servono a questo Paese. Vorrei chiedere a tutti uno sforzo grande per provare a fare ognuno il massimo». Staremo a vedere.
La storia – Frattanto, altre buone notizie per i contribuenti sono arrivate da un tribunale, quello di Busto Arsizio in provincia di Varese. I magistrati lombardi, grazie all’azione dell’avvocato Pasquale Lacalandra, hanno dato semaforo verde a uno dei primi casi in Italia di «piani del consumatore» abbattendo un debito fiscale di una impiegata in cassa integrazione dell’87%, da 86mila euro a 11mila euro. La questione ruota attorno a una legge approvata nel 2012 sulla «composizione della crisi da indebitamento». Si tratta di norme poco conosciute che hanno di fatto introdotto nel nostro ordinamento il «fallimento» delle persone fisiche e dei piccoli imprenditori, vale a dire l’accertamento di situazioni di bilanci «familiari» in rosso, tecnicamente si parla di «squilibrio economico tra i pagamenti da effettuare e il patrimonio del debitore». Un po’ quel che accade quando un’azienda alza bandiera bianca e si avvia una procedura concorsuale. Come funziona? «Le procedure – spiega l’avvocato Lacalandra – riguardano i debitori non soggetti al fallimento (piccoli imprenditori, professionisti, privati in genere, ecc.)». E quali sono i vantaggi? «Il procedimento per la composizione delle crisi da sovraindebitamento – dice l’avvocato – permette di rivolgersi al tribunale con una proposta che, se accolta, diventerà vincolante per i creditori, anche se non si prevede il pagamento integrale di tutti i debiti». Nel caso deciso dalle toghe di Busto Arsizio è stata data una sforbiciata a una cartella esattoriale di Equitalia. Con un taglio dell’87% che è quasi da incorniciare.
Fonte: www.liberoquotidiano.it
di Francesco De Dominicis
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