Il consumo di vino in Cina cresce nel dopo pandemia, entrando a far parte dei nuovi trend e confermandosi il quarto mercato al mondo per importazione. E l’Italia, soprattutto dopo la recente debacle delle aziende australiane a causa dei “superdazi” imposti da Pechino, può finalmente ritagliarsi un ruolo di primo piano in competizione con la Francia.
Secondo le ultime stime dell’osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, gli ordini dei vini italiani hanno avuto una vera e propria impennata negli ultimi mesi e il nostro Paese è diventato il terzo fornitore del gigante asiatico.
Non solo grandi marchi, perché il mercato cinese mostra di apprezzare il Made in Italy anche dei piccoli produttori, che propongono vere rarità enologiche. Proprio le ridotte quantità, però, possono essere il grande problema di chi vuole esportare prodotti di qualità in Cina.
“Le aziende italiane – spiega Antonino La Lumia, avvocato fondatore dello Studio Lexalent, focalizzato sul tema dell’export nel settore agrifood – hanno talvolta produzioni molto limitate rispetto alle esigenze del mercato cinese e spesso non riescono a superare le difficoltà connesse alla presenza di forti dazi d’importazione e a una catena distributiva già di per sé molto lunga. Anche considerando il canale e-commerce, la politica degli sconti proposta da colossi internazionali del marketplace rende spesso impossibile per le Pmi risultare competitive rispetto alla concorrenza extracomunitaria e vedere l’unicità dei propri prodotti riconosciuta dal cliente finale“.
Il risultato di queste dinamiche è che le aziende italiane di nicchia – pur volendosi aprire ai mercati internazionali – rischiano di essere frenate, già in sede di progetto, dalle complicazioni legate alla “burocrazia” dell’export e ai costi di gestione, oggettivamente insostenibili in fase di start-up di un nuovo business estero.
“Il mercato del Dragone è complesso e conta almeno 400 milioni di potenziali clienti per il Made in Italy – racconta Alberto Fattori, imprenditore italiano da quasi venti anni in Cina e ideatore del progetto Borgo Italiano di Weeiup.com -, per questo bisogna conoscerlo a fondo prima di investire. Il nostro obiettivo è rendere semplice e immediato l’export: consentire anche alle aziende e ai distributori senza licenza d’importazione, che sono oltre il 95% in Italia, di utilizzare un unico strumento diretto sia per la distribuzione b2b che per il retail b2c, senza necessità di costituire alcuna struttura societaria autonoma in loco. L’imprenditore deve pensare soltanto a produrre secondo i propri standard“.
In questo senso, l’espansione dell’export beneficia sempre più delle nuove tecnologie, che durante la pandemia hanno supportato il commercio internazionale, diventando di fatto il primo canale di vendita per milioni di clienti.
“Le distanze commerciali tra mercati – aggiunge La Lumia – si sono ormai ridotte: per emergere stabilmente, occorre quindi puntare forte sulla qualità dei prodotti e sulla percezione che ne hanno i consumatori finali, sempre più attenti alla provenienza delle materie prime, al rispetto dell’ambiente e alle filiere di distribuzione. Non è un caso che ormai un fattore di scelta fondamentale per chi acquista sia la verifica della tracciabilità della catena produttiva: la certificazione di qualità è diventata essenziale per avere credibilità, a maggior ragione su mercati variegati come quello cinese. Ecco perché oggi strutturare un efficace canale di export significa dotarsi di tecnologie innovative, che sfruttando piattaforme digitali e blockchain, che possano valorizzare i prodotti, aumentandone le potenzialità di vendita, attraverso sistemi di autenticazione, tracciabilità e geolocalizzazione”.
Nel 2021, l’economia cinese è stata la prima a ripartire convintamente, superata l’emergenza Covid: il mercato agroalimentare è molto maturato nel corso degli anni e le imprese italiane, anche di piccole dimensioni, possono entrare in un mercato sempre più ricettivo, adottando soluzioni operative in tempi estremamente ridotti.
“L’export verso la Cina – chiude Fattori – richiede normalmente ingenti investimenti e questo taglia fuori dal mercato la maggior parte delle aziende italiane. Ci sono, invece, strumenti che – se ben organizzati tramite un partner locale – consentono di beneficiare di linee di distribuzione di assoluta efficacia, come la leva della Free Trade Zone o la possibilità di vendere in e-commerce Cross-Border, senza le limitazioni esistenti per le aziende straniere. In questo modo, le barriere all’ingresso possono essere sostanzialmente azzerate“.
Comunicato ricevuto da Federvini