L’opinione pubblica appare sempre più divisa sulle conseguenze dell’emergenza coronavirus per il mondo della formazione, così come per l’economia: alcuni fanno appello alla calma, sostenendo che l’impatto sarà solo temporaneo e tutto tornerà come prima; altri sostengono che la crisi cambierà per sempre la nostra vita e i modelli che la caratterizzano, trasmettendo incertezza o speranza per le nuove prospettive.
Provando a tracciare una linea coerente tra tutte le considerazioni poste sul tavolo della discussione, emerge un elemento essenziale che appare alla base di ogni prospettiva: l’internazionalizzazione e i viaggi. L’eventuale cambio di approccio alla mobilità globale determinerà il futuro dell’istruzione superiore e universitaria, e di buona parte dell’economia.
Per decenni l’internazionalizzazione dell’alta formazione è stata considerata come sinonimo di mobilità globale. Reificata e quantificata, la mobilità è stata vista come un fine in sé, piuttosto che come un mezzo di connettività attraverso la ricerca, l’insegnamento e l’apprendimento. La politica e la pratica nell’istruzione superiore hanno creato e rafforzato la distinzione tra il paese d’origine e l’estero.
Fino ad oggi, le università e gli istituti che si rivolgono a un pubblico internazionale, hanno sempre fatto affidamento ai viaggi e agli spostamenti, per fare di un percorso formativo un’esperienza di vita. Per fare un esempio, a Malta, ex colonia britannica al centro del Mediterraneo, si è affermato negli anni il settore delle scuole di inglese private che hanno richiamato studenti da tutto il mondo attraverso l’offerta di viaggi o vacanze di studio.
Tutto questo ha favorito l’incontro tra diverse culture e lo scambio reciproco di esperienze o conoscenze, ma ha reso l’offerta di studio limitata a una fascia di popolazione ristretta: naturalmente quella più abbiente.
Secondo il portale sul mondo dell’educazione University World News, invece, il nuovo presente che stiamo affrontando e il futuro che ne consegue offrono la possibilità di superare questo limite ripensando il concetto di internazionalizzazione per la formazione.
Naturalmente tutto passa attraverso l’apprendimento online, capace di abbattere i costi e anche le frontiere per molti studenti che aspirano ad accrescere le loro competenze in un contesto internazionale. Serve però estendere la sola formazione a un’esperienza più completa di scambio e apprendimento multiculturale, per continuare a valorizzare il patrimonio di esperienza che una persona porta a casa al termine di un viaggio “reale”, durante il quale ha coltivato nuovi contatti e amicizie con altre persone provenienti da ogni Paese.
La storia suggerisce che i momenti spartiacque – quegli eventi epocali dai quali le società emergono fondamentalmente cambiate – possono essere riconosciuti solo con il senno di poi. La pandemia attuale è dunque un momento di svolta per l’internazionalizzazione? La nostra risposta è Sì. Il settore può uscire più abile e sofisticato nell’educazione online, consapevole delle opportunità derivanti da esperienze di apprendimento globale a casa propria.
Ma il passaggio dalla mobilità elitaria all’apprendimento globale inclusivo sull’incontro interculturale richiederà sicuramente una cooperazione continuativa tra un’ampia gamma di attori – studenti, docenti, servizi informatici, personale di supporto agli studenti – che dovranno lavorare in partenariato per creare un apprendimento online valido e coinvolgente.