Le criptovalute o monete elettroniche, da un punto di vista fiscale, vanno incluse nell’ambito dei redditi finanziari esteri da dichiararsi nel quadro RW del Modello Unico Persone Fisiche.
Così il TAR del Lazio si è pronunciato sulle criptovalute con una sentenza che farà giurisprudenza su un campo ancora privo di regolamentazione nel nostro Paese, al contrario di altre giurisdizioni come Malta.
I giudici amministrativi hanno risposto al ricorso delle associazioni Assob.It e Associazione Blockchainedu, che si opponevano all’inclusione delle monete virtuali nei redditi finanziari esteri ritenendo sfavorevole questa forma di tassazione con riferimento particolare al carattere di aterritorialità delle cripto monete.
Con la sentenza n. 01077/2019, pubblicata il 27/01/2020, il Tar si è così pronunciato sui presupposti e sui limiti della assoggettabilità a trattamento fiscale dell’utilizzo di moneta elettronica, confermando l’indicazione del MEF e dell’Agenzia delle Entrate, e cioè che nel quadro ordinamentale italiano vigente, l’impiego di moneta virtuale è soggetto a tassazione laddove – e nella misura in cui – generi materia imponibile. E, nello specifico, quando si compila la dichiarazione dei redditi, le criptovalute vanno inserite nel quadro RW, tra i redditi finanziari di provenienza estera.
Come accennato, vi sono invece altre giurisdizioni che nel campo delle criptovalute vanno in una direzione opposta: quella della vicina Repubblica di Malta, in particolare, definita “Blockchain Island” ed entrata in vigore alla fine del 2018, dove i redditi derivanti da transazioni di moneta elettronica non sono soggetti a tassazione.
Nella lista dei sette Paesi più attrattivi per gli operatori di criptovalute rientrano anche il Portogallo, la Germania, Singapore, la Bielorussia, la Georgia e la neo entrata Corea del Sud.