Risulta illegittimo un recupero fiscale che non sia fondato su gravi incongruenze, le quali devono considerare la storia del contribuente e l’andamento del mercato nel settore in cui opera rispetto a ciascun periodo di imposta.
Così si è espressa la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia con la sentenza n. 143.02.21, depositata il 20 maggio. In precedenza l’Agenzia delle Entrate aveva contestato la mancanza di congruità agli studi di settore dei ricavi prodotti da un’impresa individuale che opera nel settore abbigliamento, determinando in forma induttiva il reddito del contribuente.
L’art. 62 bis, dl 331/1993, contenente disposizioni applicate dall’ente impositore, consentiva infatti la ricostruzione in forma induttiva del reddito in caso di gravi incongruenze, riscontrabili, tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta.
La commissione tributaria ha invece ritenuto infondato l’atto di accertamento, richiamando l’attenzione sull’orientamento della Cassazione, espresso con la decisione 8854/2019, che ha specificato come la grave incongruenza non possa essere ricavata avendo riguardo a precise soglie quantitative di scostamento, posto che occorre adattare i dati elaborati dagli studi di settore anche alla situazione economica, al periodo di riferimento e, in generale, alle vicende imprenditoriali del soggetto passivo destinatario dell’accertamento.
L’amministrazione finanziaria non è quindi legittimata a procedere all’accertamento induttivo che si limiti a riscontrare un mero scostamento non significativo tra i corrispettivi o ricavi dichiarati e quelli che si possono dedurre dagli studi di settore.