La comunità italiana sparsa nel mondo può essere un ottimo veicolo di internazionalizzazione: a ribadirlo è stata la recente sessione plenaria della Conferenza permanente Stato, Regioni, Province autonome e Consiglio generale degli italiani all’estero, che ha inserito tra i punti chiave dell’agenda politica proprio la valorizzazione degli italiani all’estero per potenziare il Sistema Paese in Italia e oltre i confini.
Come riportato anzitempo in uno specifico approfondimento sul portale del nostro Think Tank, ad oggi gli Italiani all’estero, compresi quelli di discendenza, risultano essere più di 90 milioni, con un legame antropologico verso la loro Patria e verso le loro origini da farli divenire i maggiori contributori del successo del marchio “Made in Italy”. Parliamo di 90 milioni di consumatori e promotori di “Italianità” su cui l’Italia può contare, 90 milioni di Italiani che comprano italiano e che consigliano di comprare italiano, 90 milioni di Italiani che mantengono e fanno conoscere quello che possiamo descrivere come il patrimonio materiale e immateriale della Nostra Penisola.
Negli ultimi dieci anni, in particolare, gli italiani iscritti negli schedari consolari sono passati da circa 4,6 milioni (nel 2012) a circa 6,5 milioni (al 30 novembre 2021): si tratta di un incremento percentuale che sfiora il 40%. Il sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova, ha sottolineato che “ad aver lasciato l’Italia negli ultimi dieci anni sono stati soprattutto i giovani, che si sono trasferiti oltre i confini nazionali alla ricerca di nuove opportunità di studio o di lavoro“.
Tutte queste persone non rappresentano soltanto un grande bacino di consumatori alla ricerca del Made in Italy da raggiungere in ogni parte del mondo, ma anche “agenti di consulenza e Promoter naturali” del brand italiano all’estero, in grado di far conoscere i nostri prodotti alle popolazioni autoctone con le quali si trovano a convivere, e che sono in grado di guardare con sempre maggiori interesse alle eccellenze italiane, non soltanto nei settori dell’agroalimentare, della moda e del design, dove il nome dell’Italia è ampiamente diffuso, ma anche in comparti più specializzati come quello di mobili e arredo, dei prodotti di elettronica e delle apparecchiature elettromedicali, o ancora dei prodotti chimici e farmaceutici.
Per questo il documento finale della Plenaria, definito “un ottimo punto di approdo”, sottolinea l’importanza del potenziale inespresso delle comunità italiane. “Gli italiani all’estero devono essere costruttori di strategie e protagonisti delle politiche da adottare, fin dal loro concepimento e programmazione, e non più soltanto destinatari delle stesse”. “In particolare, le aree interne e il Mezzogiorno, che per troppo tempo hanno subito un vero e proprio spopolamento a causa dei movimenti migratori, non devono più essere considerati ‘periferia dell’Italia’, ma occasioni di sviluppo e nuova occupazione, creando giuste condizioni di dialogo e intervento. In questo e in tutti gli altri ambiti di internazionalizzazione del Paese, l’Italia deve fare squadra con la sua popolazione all’estero, trovando il giusto equilibrio con l’organizzazione politica e culturale interna, per realizzare un vero salto verso il futuro”.
Rilanciamo infine la provocazione di Manfredi Nulli, presidente della VI Commissione del Consiglio generale degli italiani all’estero: “Nei fatti a volte si relega l’italiano all’estero, e quindi anche le nostre comunità, come soggetto passivo e non attivo della promozione del Paese. Bisogna quindi decidere se l’italiano all’estero è un asset da usare o un problema con cui avere a che fare“. Da qui l’idea di impiegare gli italiani all’estero con una rappresentanza nelle cabine di regia delle ambasciate e nel Consiglio nazionale per la cooperazione e lo sviluppo, e di guardare al numero di italiani presenti in un determinato Paese straniero per stabilire la ripartizione di cinque miliardi di fondi previsti nei prossimi anni per la cooperazione internazionale e gli aiuti allo sviluppo.