E’ braccio di ferro tra l’Agenzia delle Entrate e il Garante della Privacy, dopo che quest’ultimo ha di fatto bocciato i controlli incrociati sui dati delle fatture elettroniche, evidenziando come siano troppi i dati e le informazioni che l’amministrazione finanziaria pretende di utilizzare nelle nuove analisi del rischio di evasione basate sulle procedure di memorizzazione ed archiviazione.
Esisterebbe dunque – secondo il Garante – il rischio, tangibile, di una vera e propria profilazione generalizzata di tutti i contribuenti, compresi i minori d’età, non proporzionata e ridondante, rispetto all’obiettivo di interesse pubblico perseguito.
Di fronte alle successive prese di posizione di rappresentanti politici e organizzazioni sindacali riguardo al recente parere adottato dal Garante, l’Autorità ha ritenuto doveroso precisare che il suo parere del Garante della Privacy non riguarda di per sé l’istituto della fattura elettronica – su cui si è, a suo tempo, e più di una volta espressa favorevolmente – ma le innovazioni con le quali il legislatore – e, conseguentemente, l’Agenzia delle entrate – ha esteso l’utilizzo, a fini di controllo, di ulteriori dati ricavati dalle fatture elettroniche, non fiscalmente rilevanti.
Con lo schema di provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate si è infatti disposto, tra l’altro, l’utilizzo, a fini fiscali, dei c.d. “dati fattura integrati”, comprensivi di dati di dettaglio inerenti anche l’oggetto della prestazione del bene o del servizio. Molti di questi dati – quali ad esempio quelli contenuti negli allegati delle fatture – non rilevano a fini fiscali e possono invece rivelare dati di natura sanitaria o la sottoposizione dell’interessato a procedimenti penali, come nel caso di fatture per prestazioni in ambito forense o ancora specifiche informazioni su merci o servizi acquistati. Qui vi sarebbe la violazione della privacy.
La memorizzazione delle fatture nella loro integralità, a prescindere dall’eventuale utilizzo, comporta dunque l’acquisizione massiva di una mole rilevantissima dei dati contenuti nei circa 2 miliardi di fatture emesse annualmente, inerenti tra l’altro i rapporti fra cedente, cessionario ed eventuali terzi, fidelizzazioni, abitudini e tipologie di consumo, regolarità dei pagamenti, appartenenza dell’utente a particolari categorie.
Tale estensione del novero dei dati trattati dall’amministrazione fiscale contrasta con il principio di proporzionalità su ci si basano l’ordinamento interno ed europeo, ingolfa le banche dati dell’Agenzia delle Entrate rendendole più vulnerabili, perché estese e interconnesse in misura tale da divenire assai più difficilmente presidiabili, e configura un sistema di controllo irragionevolmente pervasivo della vita privata di tutti i contribuenti, senza peraltro migliorare il doveroso contrasto dell’evasione fiscale.
E’ questo l’elemento di maggiore criticità delle recenti innovazioni normative, su cui il Garante ha chiesto un supplemento di riflessione sin dall’esame parlamentare del decreto fiscale: non è ammissibile, perché sproporzionata, l’estensione a dati rilevantissimi per la vita privata dei contribuenti, ma fiscalmente irrilevanti e, come tali, incapaci di apportare alcun minimo miglioramento all’azione di contrasto dell’evasione. Essa va resa più efficiente, non più orwelliana. per garantire quell’equità fiscale promessa dalla Costituzione.