Davvero vergognoso ciò che sta accadendo a Roma in rapporto ai ritardi e all’impasse burocratica che lega il Comune di Roma con i lavori della “Metro C” della Capitale. Tra i circa trecento lavoratori attualmente impiegati nella cosiddetta “Tratta T3” (quella che va da San Giovanni a Fori Imperiali, con 2 stazioni e 2 pozzi ancora in costruzione), infatti, regna l’incertezza più assoluta. I lavori di scavo dei tunnel, gli ultimi finanziati dal Cipe, sono iniziati il 21 marzo 2013 e dovrebbero concludersi a fine 2020. Poi ci saranno altre lavorazioni per finalizzare l’opera.
Il consorzio, che nel 2006 ha dato vita a Metro C Scpa, è composto da Astaldi, Vianini Lavori, Hitaci, Cooperativa Muratori e Braccianti di Carpi e Consorzio cooperative costruzione. E sul suo sito ufficiale la “Tratta T2”, 5 stazioni di collegamento tra i Fori Imperiali e Piazzale Clodio, viene inserita nella sezione “Sviluppi futuri”. Il prolungamento fino alla Farnesina, invece, è considerato una semplice “opportunità”. Ci sono anche molte ditte piccole, con pochi dipendenti, come quelle che si occupano di archeologia o di geologia che a causa dello scempio burocratico del Campidoglio stanno vivendo problematiche economiche non indifferenti e rischiano il fallimento. Le speranze di tutte queste persone restano appese alle parole di Virginia Raggi.
Nel maggio 2018, al taglio del nastro della monumentale stazione di San Giovanni (completata con oltre 7 anni di ritardo), la sindaca di Roma ha annunciato che l’opera “proseguirà fino a farla attraversare tutta la città, con capolinea a Clodio o Farnesina”. Raggi però ha anche parlato di un nuovo contratto e di “presupposti diversi”. Una metamorfosi dalle nette posizioni “no metro” di inizio mandato, confermata anche l’11 febbraio nel corso di un sopralluogo proprio in questo cantiere.
Intanto, le metamorfosi politiche non fermano la Corte di Appello. La Corte d’Appello condanna Roma Metropolitane al pagamento di oltre 20 milioni di euro al consorzio Metro C Scpa. Secondo i dati economici sappiamo che l’opera è riconosciuta, a causa dell’immensa burocrazia che blocca i lavori, tra le più costose e lente d’Europa, con le sue 45 varianti in 14 anni di lavoro e circa 700 milioni di euro di extra-costi. La sentenza è stata pubblicata il 6 aprile 2020 e dà ragione al contraente generale e impone alla stazione appaltante, controllata del comune di Roma, il versamento degli oneri aggiuntivi richiesti da una serie di modifiche apportate al progetto originario tra il 2006 e oggi. Un giudizio che conferma e rende valido il lodo parziale emesso il 6 settembre del 2012, con il quale il Collegio arbitrale, designato per risolvere una controversia avviata nel 2007, riconobbe a Metro C gli extra-costi sostenuti per i continui cambi in corsa durante i lavori, per un totale complessivo di 15 milioni e mezzo di euro.
Per un’ analisi di ciò che sta avvenendo tentiamo di elaborare una breve ricostruzione delle vicende:
La delibera CIPE del 20 dicembre 2019, pubblicata il 12 marzo 2020 in Gazzetta Ufficiale, dispone la continuazione dell’opera di scavo delle TBM verso Piazza Venezia e il finanziamento di circa 10 milioni di euro da parte del MIT;
– Secondo la Legge Obiettivo del 2001 e il dlgs successivo del 2002 che la attua, sta al Soggetto Aggiudicatore (ovvero Roma Capitale, e in particolare il Dipartimento Trasporti) di disporre l’atto amministrativo che permette al Contraente Generale (Metro C) di continuare i lavori;
– Metro C ha comunque garantito la prosecuzione dei lavori, investendo nelle misure di sicurezza per i lavoratori relativamente al pericolo di contagio da Coronavirus e sostenendo i costi per tenere attive le TBM;
– Metro C ha più volte chiesto l’intervento dell’amministrazione con diverse lettere di sollecito rispetto ai suoi obblighi amministrativi, in particolare con le lettere del 19 e del 25 marzo;
– Nonostante la solerzia del CIPE, Roma Capitale non ha ancora proceduto a dare il via alle opere.
L’unica certezza in questa vicenda surreale, che accompagna anche altre notizie legate alla gestione delle Metro di Roma, è che ogni giorno di ritardo rispetto alla pubblicazione della Delibera in Gazzetta Ufficiale comporta un danno erariale consistente da parte dell’ente pubblico e un consumo di cassa per Metro C.