La Sicilia è storicamente tra le regioni italiane che hanno attraversato tutti i periodi storici, intrecciando relazioni con innumerevoli civiltà e culture. Un patrimonio materiale ed immateriale ricchissimo che merita attenzione, conoscenza e capacità imprenditoriale per accrescere la valorizzazione del territorio.
In generale, l’Italia conta tantissimi siti patrimonio UNESCO, ma solo la Sicilia ne conta sette: la Valle dei Templi di Agrigento, la Villa Romana dei Casale di Piazza Armerina, le isole Eolie, l’Etna, Siracusa e le necropoli di Pantalica, le città barocche del Val di Noto, e l’ultimo in ordine di tempo, Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale. Senza dimenticare le meraviglie naturali come i geoparchi di Madonie e Rocca di Cerere, a Enna, e i quattro esempi di patrimonio immateriale, ovvero la vite ad alberello di Pantelleria, l’Opera dei pupi, la dieta mediterranea e i muretti a secco.
Non solo, il turismo è un fattore economico importante per l’isola.
Nel 2018 le visite ai siti culturali sono cresciute così come è cresciuto il traffico di passeggeri negli aeroporti siciliani ma nel settore dei Beni Culturali e del Turismo ancora molto c’è da fare.
A riconoscerlo è lo stesso governo regionale siciliano nell’ultimo “Documento di economia e finanzia regionale:” nei beni culturali occorre superare la logica dell’emergenza sia nella gestione delle risorse finanziarie che in quelle umane, bisogna favorire il mecenatismo, puntare sul food e il benessere dell’isola, senza dimenticare i grandi eventi di richiamo internazionale.
Purtroppo, sono vive anche innumerevoli problematiche burocratiche e di malapolitica che interrompono il percorso di crescita dell’isola. Nel tentativo di comprendere l’importanza del turismo e dell’ecoturismo per la Sicilia, intervistiamo Roberto Sauerborn, protagonista del GAL Tirrenico Mare, Monti e Borghi.
I Gruppo di Azione Locale (GAL) sono uno strumento di programmazione che riunisce tutti i potenziali attori dello sviluppo, quali sindacati, associazioni di imprenditori, imprese, Enti locali, associazioni del terzo settore e altri attori sociali. Come nascono in Sicilia e quali progressi hanno permesso di sostenere per la crescita economica dell’isola?
I GAL, come detto, sono strumenti della cosiddetta programmazione negoziata che operano anche in Sicilia sin dalla loro ideazione avvenuta intorno agli anni ‘90 e nascono con lo scopo di fornire un aiuto concreto a tutti gli enti, operatori e professionisti del territorio, che sono alla ricerca di fondi per i loro progetti e per impedire che le risorse assegnate per aiutare lo sviluppo dei territori vengano restituite.
Sono delle vere e proprie Agenzie di Sviluppo riconosciuti dai Regolamenti UE quali Organismi Intermedi che operano sui territori delegati dalle Autorità di Gestione dei Fondi SIE.
Purtroppo, e mi permetta anche di ricordare l’immenso lavoro svolto da Salvatore Tosi direttore del GAL Metropoliest, i GAL non sono destinatari di grandi risorse che, peraltro, distribuiscono con i bandi di cui sono gestori, ai beneficiari che operano e risiedono nei loro territori di competenza.
Infatti, la regione Sicilia, per una strana miopia strutturale, ha sempre loro assegnato il minimo delle risorse possibili, ed esattamente solo il 5% del totale dei PSR.
Risorse che i GAL destinano secondo aliquote prefissate alla nascita di nuove aziende, alla promozione, a progetti di cooperazione anche internazionali e alle spese di gestione e di funzionamento.
Altra anomalia, tutta siciliana, è che ad ogni nuovo periodo di programmazione i territori devono ri-sottoporsi a delle selezioni per poter costituire il GAL con tutta una fase organizzativa iniziale e di costi che vengono duplicati, che vengono sottratti alla immediata operatività a favore dei territori: anche questo aspetto è illogico.
Così, il contributo ed i progressi per la crescita economica dell’isola più che in termini di elargizioni economiche, che peraltro avvengono pure con i bandi, vanno ricercati ed inquadrati nella loro capacità di fare sistema, di coinvolgimento dal basso, bottom-up, delle parti sociali, economiche e territoriali e, grazie ai processi di animazione, di rendere consapevoli i loro partner su come ci si deve approcciare e raccogliere le opportunità che vengono dai fondi comunitari e non solo.
Grazie ai GAL, in ogni caso, sono state migliaia le nuove aziende sorte negli ultimi 4 lustri in logica di diversificazione, come anche la partecipazione a fiere e iniziative promozionali o l’accompagnamento per il riconoscimento di marchi o certificazioni.
Presentate recentemente al dipartimento regionale dell’Agricoltura, l’istanza di riconoscimento del “Distretto del cibo dei Nebrodi – Valdemone” ricadente nei territori dei GAL Tirrenico, mare Monti e Borghi, GAL Nebrodi Plus e GAL Peloritani. Possiamo approfondire l’importanza di tale istanza?
Il neo Distretto Nebrodi VALDEMONE, è stato il frutto di un intenso lavoro di animazione e concertazione condotto nei territori della provincia di Messina ad opera della task force che si è venuta a creare grazie alla integrazione dei tre Gruppi di Azione Locale ma anche e, forse innanzitutto, della felice intuizione e dialogo avviato tra le governances, segno di una buona maturità e consapevolezza dei sistemi di sviluppo locale.
Si tratta del primo distretto del cibo formalizzato in Sicilia che certamente costituisce la proposta avanzata e qualitativamente rappresentativa di un terzo del sistema agricolo siciliano.
Ben 177 imprese agricole ed agroalimentari, decine e decine di aziende altre operanti nel settore della trasformazione e dell’accoglienza, svariate firme associative, ivi compresi i consorzi di tutela del germoplasma vegetale, del salame di Sant’Angelo, della provola dei Nebrodi; ed ancora, tre gruppi di azione locale (Gal Nebrodi Plus, Gal Taormina Peloritani, Gal Tirrenico Mare Monti e Borghi), il distretto produttivo dolce Sicilia, tre condotte slow food, l’Unpli Messina, agenzie di certificazione, organismi di ricerca, il consorzio intercomunale Tindari – Nebrodi, la camera di commercio di Messina, 40 amministrazioni comunali. Questi gli attori del costituito distretto del cibo dei Nebrodi – Valdemone, composto da 280 partner. Ed ancora, dieci le filiere produttive coinvolte: agrumicola, frutta fresca ed in guscio, olivicola ed olearia, vitivinicola, carni, lattiero – casearia, florovivaistica. Il Distretto si presenta complessivamente con 524 addetti e oltre ventimilioni e quattrocento mila euro di fatturato certificato Bio, Igp, Dop, Doc, GlobalGap.
Il Distretto del Cibo Nebrodi-Valdemone, é il risultato di un grande sforzo aggregativo, senza tradire i principi identitari e omogenei che stanno alla base della logica distrettuale.
La chiara e tangibile risposta al momento di crisi che travaglia il territorio, sostenendo lo sforzo per un nuovo riposizionamento dell’agricoltura, con l’obiettivo di coniugare qualità̀ e sostenibilità̀.
Il distretto del cibo dei Nebrodi – Valdemone è l’evoluzione innovativa del distretto agricolo, esso promuovere uno strumento finalizzato ad organizzare e sostenere il sistema produttivo agricolo e agroalimentare locale, a promuovere lo sviluppo delle comunità̀ puntando sul loro carattere identitario definito nei prodotti tipici e/o a denominazione e/o biologici.
Nel 2018 il trend delle presenze turistiche è in crescita. I visitatori dei siti culturali della Regione nel 2018 sono stati oltre cinque milioni mentre gli incassi sono stati pari a 28 milioni di euro. La provincia con più accessi ai beni culturali è stata quella di Messina con 1,1 milione di visitatori seguita dalla provincia di Agrigento con poco più di un milione di visite, terza quella di Siracusa con 901mila visitatori. Quale prospettive merita la Sicilia per far crescere il turismo anche nelle zone interne e nelle altre provincie?
L’Italia vede riconosciuta nella sinergia tra turismo e cultura l’elemento distintivo che contraddistingue il marchio Paese, riconoscendo quali asset più promettenti del nostro portafoglio di prodotti turistici proprio la cultura e il paesaggio. L’analisi si sofferma anche sul fatto che è in atto una “trasformazione del cliente” che vede come elemento principale la ricerca di esperienze coinvolgenti e memorabili.
Da sottolineare che il Rapporto sul Turismo 2017 – Unicredit/TCI individua nove tipologie di turismo italiano a dimensione costante o crescente (culturale, balneare, montano, agriturismo, crocieristico, business, congressuale, termale, enogastronomico). In generale, per quanto riguarda la Sicilia, in base ai dati raccolti dall’Osservatorio Turistico regionale è possibile immaginare per il 2019 un trend in crescita per il settore turistico siciliano. Ad aprile 2018, si sono registrati sull’Isola 377.070 arrivi (per il 50,9% stranieri) e 897.728 presenze (il 58% delle quali straniere).
Secondo la classifica stilata da CaseVacanza.it, la Sicilia rientra tra le cinque regioni più gettonate per questa nuova stagione turistica in base al numero di case vacanza e alloggi prenotati in “early booking”, cioè oltre 90 giorni prima del soggiorno. In particolare, è la provincia di Trapani a registrare un maggiore flusso di richieste. I risultati dello studio delle prenotazioni effettuato dal portale, vedono la Puglia al primo posto seguita da Sardegna e Toscana.
La Sicilia si piazza al quarto posto con l’8,6% di richieste. Quinta l’Emilia Romagna con il 6,5%. Come mostrano i dati dell’Osservatorio Turistico Regionale nei primi quattro mesi del 2018, anche il flusso di turisti italiani nella nostra regione è progressivamente cresciuto confermando, per l’industria turistica siciliana, il profilarsi di una stagione 2019 all’insegna di una maggiore affluenza non troppo concentrata nei canonici periodi di vacanza, come nel recente passato, ma più omogeneamente distribuita nell’arco dell’intero anno.
L’analisi del Dipartimento del Turismo, Sport e Spettacolo riporta in modo incontrovertibile le tendenze della nuova programmazione siciliana che definisce preferibile «investire su un turismo rivolto a coloro i quali vogliono viaggiare in modo sostenibile, piuttosto che su forme di turismo mordi e fuggi o che impattano in modo pesante sull’ambiente e sui territori con modesti effetti sul PIL (ad es. il turismo da crociera)».
Si legge ancora che «bisogna puntare ad un turismo che consenta di scoprire le mete meno battute dal turismo di massa (ma non per questo meno meritorie), che metta al centro le comunità locali e i territori, che si sviluppi lungo itinerari lenti e valorizzi l’Isola nel campo dell’ecosostenibilità.
Il turismo lento (a piedi, in bicicletta, in treno) e culturale, capace di mettere in rete luoghi noti e meno noti della nostra Isola, anche con l’aiuto di nuovi strumenti informatici. Puntare insomma su un “turismo esperienziale” che metta al centro le passioni, gli interessi, le vocazioni della persona.
Un mix di mare, natura, enogastronomia, arte, avventura, shopping, sport e curiosità di ogni tipo, che, a seconda dei gusti personali, restituisca senso e identità ai “non luoghi” recuperando il valore del paesaggio agrario, così come di quello industriale e archeologico, collegando i luoghi ai prodotti enogastronomici tipici della zona e mettendo il turista nelle condizioni di “fare esperienza” del viaggio».
In questa ottica, i “cammini storici” offrono una nuova tipologia di turismo: lo slow trip che consente di spostare l’interesse dalla meta del viaggio anche al percorso necessario per arrivarci. Si tratta di cammini di resistenza o, meglio, di resilienza dove il viandante sta, cresce e riparte costantemente alla ricerca di se stesso, della natura e del paesaggio circostante.
I cammini francigeni di Sicilia aiutano a riscoprire ciò che 700 anni di storia avevano nascosto in zone spesso lontane dal grande turismo ma ricche di tradizioni, cultura, buon cibo e ottimi sorrisi, dove l’accoglienza è garantita da strutture convenzionate o da alloggi “pellegrini” messi a disposizione dalle amministrazioni comunali o dalle parrocchie o dalle associazioni che rendono attiva la cittadinanza.
La via francigena Palermo-Messina ha una lunghezza di circa 400 Km e, correndo lungo l’appennino siculo, dal mare ai monti, collega Palermo all’altra grande città siciliana che in passato rappresentava la porta verso l’oriente. Una viabilità medievale sulla “via dei Franchi”, cavalieri venuti dalla Normandia per cacciare i Musulmani e cristianizzare la Sicilia.
La via lungo la costa è attestata durante il periodo romano, mantenendo la sua importanza anche durante il controllo di Bisanzio, fino all’avvento dei cavalieri normanni che la chiamarono “strada regia” o per l’appunto “Via Francigena”.
Immenso è il dibattito attuale sulla promozione di nuove visioni legate al turismo: ecoturismo, turismo eco-sostenibile e nuove prospettive antropologiche che legano il territorio agli usi locali, tradizioni e costumi. La Sicilia potrebbe essere un “hub” in tale settore. Di cosa necessita l’isola per compiere tale salto di qualità?
La Sicilia è già un hub per il turismo e non solo, purtroppo non lo sa e, quel che è peggio, non lo sanno i suoi/nostri gestori politici ai quali manca una visione strategia e di lungo respiro tarpata da una asfittica ricerca del potere fine a se stesso.
La stessa scelta di inserire degli amministratori in settori strategici non può seguire gli umori politici o la necessità di premialità post-elettorali.
La Sicilia ha bisogno di un cambio di passo che può avvenire solo se cambiano i sistemi di governo e di funzionamento degli apparati burocratici. Noi paghiamo spesso lo scotto di uno spoil system partitico e non funzionale e che non professionalizza i settori chiave dello sviluppo.
Noi, GAL, ed il nostro ritardo nella progressione della spesa sui fondi SIE, siamo la prova tangibile di tale disfunzione e cioè della rotazione sistematica di dirigenti e/o funzionari con cui dobbiamo relazionarci ma che si trovano a reggere politiche di sviluppo di cui sino a qualche giorno prima non sapevano nemmeno l’esistenza.
Quali sono le richieste e le problematiche legate alle istituzioni locali, regionali e nazionali?
Bisognerebbe chiedere ai decisori politici.