L’attualità politica globale vede emergere uno scontro occidentale sulla tassazione dei gitanti del web. Negli scorsi giorni, il sottosegretario Usa Steve Mnuchin ha inviato una lettera ai ministri dell’Economia dell’Europa, minacciando ritorsioni nel caso di un’accelerata sulla tassa sul web.
La questione è da tempo sul tavolo dell’Ocse: alla fine di gennaio, 137 Paesi avevano effettivamente concordato di raggiungere entro la fine del 2020 un accordo sulla tassazione delle varie Amazon, Facebook, Google etc. Gli USA hanno dichiarato la sospensione delle trattative in corso con i Paesi europei, minacciando dazi contro gli Stati che decideranno di andare avanti. Una notizia che è stata accolta con «rammarico» dalla Commissione europea, che ha chiesto «agli Usa di ritornare al tavolo negoziale all’Ocse». L’esecutivo europeo ha spiegato anche di essere «determinato a garantire che tutte le imprese, comprese quelle digitali, paghino la loro giusta parte di imposte laddove sono legittimamente dovute. È particolarmente importante nella situazione attuale del coronavirus». Paolo Gentiloni ha ribadito che «la Commissione è accanto a tutti gli Stati membri che hanno fatto progressi con le proprie imposte sui servizi digitali».
La mossa Usa arriva in un momento molto delicato perché la web tax è stata indicata dalla Commissione europea come una delle nuove risorse proprie (valore circa 5 miliardi all’anno) con cui rimborsare il Recovery Fund, lo strumento dell’Unione per aiutare i Paesi colpiti dalla crisi, che è ora oggetto di negoziato tra gli Stati membri. Olanda, Irlanda, Lussemburgo, Malta e Cipro sono sempre stati scettici, perché hanno generato un sistema vantaggioso grazie alla tassazione agevolata che applicano ai big tech. Una soluzione «globale multilaterale» sarebbe preferibile anche per il segretario generale dell’Ocse Angel Gurria, che vede un rischio di «guerra commerciale» se i Paesi si muovono unilateralmente.
Nel nostro paese, la web tax si rivolge alle grandi aziende “big-tech” che vantano un fatturato globale non inferiore a 750 milioni e un ammontare di ricavi derivanti dalla prestazione di servizi digitali sul mercato italiano non inferiore a 5,5 milioni. Nello specifico, la web tax prevede un’aliquota del 3% sui ricavi risalenti all’anno solare precedente a quello di imposta. Il pagamento della Web Tax 2020 dovrà essere effettuato su base annuale (invece che trimestrale come prevedeva la Legge di Bilancio 2019) e versato in un’unica soluzione entro il 16 marzo dell’anno successivo a quello dell’esercizio chiuso.
Entro il 30 giugno si dovrà invece presentare la dichiarazione dei redditi dell’ammontare dei servizi tassabili forniti. La società dovrà tenere una contabilità dedicata dei servizi digitali imponibili. Analizzando sempre la situazione italiana, per l’anno appena iniziato la nuova web tax dovrebbe portare nelle casse dello Stato un introito importante. Per le società che appartengono allo stesso gruppo è nominata una singola società che ne fa parte, per fare fronte agli obblighi derivanti dalle disposizioni relative all’imposta sui servizi digitali.
L’avvento dell’economia digitale ha portato ad importanti sfide dal punto di vista fiscale. In un panorama globalizzato dell’economia mondiale, infatti, le regole fiscali tradizionali si sono trovate ad affrontare fenomeni di elevata mobilità dei contribuenti e del capitale, elevato numero di transazioni transfrontaliere e internazionalizzazione delle strutture finanziarie. Ribadiamo che secondo i dati dell’Osservatorio eCommerce B2C del Politecnico di Milano, ad esempio, il commercio elettronico in Italia vale circa 31 miliardi.
Da questa cifra vanno escluse le vendite dirette, ossia quelle che non sono intermediate da piattaforme come Amazon. Vanno inoltre tolte le vendite di aziende con meno di 750 milioni di fatturato. La parte mediata da piattaforme colpite dalla web tax si può stimare in circa il 50 per cento del totale del volume dell’eCommerce, dunque circa 15 miliardi. I compensi applicati variano molto tra le piattaforme – generalmente dal 3 al 15 per cento. Con un’aliquota del 3 per cento, si ha un gettito di 45 milioni.
La Web tax ha l’obbiettivo di sottoporre le big company dell’High Tech ad una tassazione più equa anche nel caso in cui queste ultime abbiano stabilito la loro sede legale in stati dove godono di fiscalità di vantaggio. Nel mirino dell’Agenzia delle Entrate vi sono i colossi come Google, Facebook e Amazon il cui contributo fiscale non verrebbe considerato sufficiente.
In Italia, se tutto dovesse andare come previsto dal nostro Governo, a fine 2020 la Web tax (calcolata sui ricavi dello scorso anno) potrebbe portare capitali importanti per la ripresa del sistema nazionale dall’emergenza economica causata dalla pandemia sanitaria.