La zona economica esclusiva conosciuta con l’acronimo ZEE è un’area del mare, adiacente le acque territoriali, in cui uno Stato costiero ha diritti sovrani per la gestione delle risorse naturali, giurisdizione in materia di installazione e uso di strutture artificiali o fisse, ricerca scientifica, protezione e conservazione dell’ambiente marino. Una proposta di legge sulle Zona Economica Esclusiva (ZEE) è all’esame del Parlamento con l’obiettivo di recuperare i ritardi accumulati negli ultimi mesi e rafforzare la nostra marittimità. Oltre le acque territoriali delle 12 miglia si estendono grandi spazi marittimi potenzialmente soggetti alla giurisdizione nazionale. La nostra legislazione l’ha definita in modo appropriato ed i suoi confini sono stati negoziati con la ex Iugoslavia e con i paesi dell’Albania, Grecia, Tunisia e Spagna oltre a concordare con Malta, nel 1970, un Modus Vivendi di delimitazione a carattere provvisorio e limitato spazialmente entro il breve tratto dei fondali di 200 metri.
Un approccio che nel recente passato era prima a titolo di zona di protezione ecologica (ZPE) o di pesca (ZPP), in seguito come Zona economia esclusiva (ZEE), cioè dell’area di diritti funzionali esercitabili dallo Stato costiero, entro il limite delle 200 miglia, per la tutela ambientale e la riserva di pesca. Un approccio cauto, volto a mantenere alta la bandiera della libertà dei mari, come ricorda “Analisi Difesa“. Negli anni passati era molto elevato il rischio che alcuni Paesi usassero la ZEE come strumento per limitare l’attività delle forze navali richiedendo la preventiva autorizzazione al loro transito o alle loro esercitazioni. La problematica torna al centro degli interessi con le scintille che il Mediterraneo sta vivendo con crisi greco-turca che ha evidenziato l’esigenza di negoziare preventivamente la ZEE con i Paesi vicini ad evitare iniziative a nostro danno come potrebbero essere annunciate come quella dalla Libia, nonostante sia risaputo che nel quadrante a sud est di Malta la Corte internazionale di Giustizia ha riconosciuto l’esistenza di diritti italiani.
Quella dei diritti per la navigazione e lo sfruttamento delle acque marine è una delle questioni più annose e complesse tra gli Stati costieri del Mediterraneo. Sul mare territoriale, la striscia di mare adiacente la costa, che si estende per 12 miglia nautiche, cioè all’incirca 22 chilometri, lo Stato esercita una sovranità piena, equivalente a quella esercitata sulla terraferma. Secondo la Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare, lo Stato costiero deve però consentire il passaggio delle navi straniere, laddove questo non arrechi pregiudizio alla pace, all’ordine e alla sicurezza statali (diritto di passaggio inoffensivo). Una tematica al centro dell’attenzione mediatica degli ultimi mesi dopo il fermo dei due pescherecci fermi nel porto di Bengasi, “Antartide” e “Medinea”, che, insieme ad altri 7 pescherecci mazaresi sono “in stato di fermo” in Libia. Ricordiamo che da quasi due mesi i familiari hanno perso ogni contatto con i pescatori trattenuti in Libia.