I danni ambientali, il depauperamento delle acque, le compromissioni degli habitat marini, l’alterazione delle biodiversità e lo sfruttamento degli stock ittici hanno un colpevole: la pesca a strascico!? Ed ecco dunque che si cercano rimedi e soluzioni o, per meglio dire, condanne e punizioni che colpiscono al cuore un’attività produttiva di primaria importanza per l’Italia, ma che ormai rischia davvero di estinguersi.
Nel particolare momento storico che stiamo vivendo, in cui si guarda a un futuro inteso quasi esclusivamente come competitivamente sostenibile assicurato da un corretto equilibrio tra natura e uomo, la pesca a strascico è attività da bandire? A quanto pare si! Compagini di biologi marini e ricercatori, probabilmente anche finanziati da Fondi stanziati dal settore pesca, ritengono che le tecniche usate per pescare, soprattutto il sistema a strascico, non permettono il naturale ripopolamento dei mari. Tutti pronti alla condanna a morte di un intero segmento che invece necessita di interventi che, in nome di una legittima e condivisibile esigenza di sostenibilità ambientale e economica, ha esigenza di nuovi input e di nuove opportunità.
Bisogna preferire e favorire cambiamenti strutturali capaci di generare nuovi modelli di gestione di tutte le attività di pesca, accordando sicuramente preferenza a pratiche quanto più possibile sostenibili. La pesca, compreso il sistema dello strascico, certamente non è l’unica o comunque la principale responsabile delle alterazione degli equilibri marini e dell’impoverimento degli stock. Non si può non pensare a concause importanti quali ad esempio le attività estrattive, gli impianti eolici off-shore (così graditi nella transizione ecologica ad emissione zero, ma che generano operazioni poco ecologiche circa le installazioni e le manutenzioni), le trivellazioni, gli sversamenti industriali, gli scarichi derivanti dalle operazioni di pulizia delle navi da crociera, le immissione di sostanze nocive trasportate dalle acque percolanti etc.
In buona sostanza, tutte le attività antropiche, non solo la pesca e non solo lo strascico, generano danni al mare e alle risorse ittiche. Ma incassiamo anche l’ennesima accusa, l’ultima solo in ordine di tempo, che la pesca effettuata con il sistema a strascico emette una media di circa un miliardo di tonnellate di CO2, addirittura quanto il traffico aereo mondiale.
“Si parla di dati scientifici e di valutazioni di impatto che vogliono mari e oceani letteralmente prigionieri di gas serra e di carbonio con gravi conseguenze sulla flora e sulla fauna marine. Accusare e punire serve a poco; tocca agire salvando “capre e cavoli” tuona Gennaro Scognamiglio, Presidente di UNCI Agroalimentare, che continua: “E’ fatto risaputo che l’Europa è particolarmente severa con la pesca, in special modo con il sistema a strascico: il segmento fa i conti con una riduzione del 20 per cento delle giornate di pesca (percentuale accumulata nelle ultime annualità) e con un probabile, oserei dire fatale, ulteriore taglio che si attesterebbe intorno al 40 per cento. Se sostenibilità è la parola d’ordine del futuro, noi siamo d’accordo, ma oltre a quella ecologica dobbiamo pensare anche a quella economica delle migliaia di famiglie dei pescatori, così come la ricerca scientifica l’ha proposta. A tal proposito ritornerebbe sicuramente utile dare luogo a percorsi nuovi di educazione alimentare in grado di evidenziare quei sistemi basati su tecniche produttive sostenibili, rispettose dell’ambiente e capaci di produrre cibo (nel nostro caso pesce) sano e di prima qualità. Proteggiamo i mari, le risorse, i pescatori e i consumatori. Seguiamolo pienamente il solco tracciato dal Green Deal: innoviamo le tradizionali tecniche di pesca come lo strascico (penso a materiali eco sostenibili per le reti; all’ammodernamento dei motori in chiave ecologica); rendiamole più sostenibili le catture anche attraverso un riutilizzo alternativo del by catch (un’economia circolare che non crea scarto ma il rincarto); rimoduliamo i piani di gestione su nuovi parametri, tutelando le biodiversità e scongiurando l’estinzione non soltanto delle specie ittiche ma soprattutto dei pescatori. La nostra crociata è la Farm to Fork, proprio come ci suggerisce l’Europa, la strategia che si pone a tutto vantaggio della nostra pesca: una pesca capace di soddisfare la domanda del mercato interno e di tutelare i consumatori italiani rispetto a importazioni meno controllate e sicure, con programmi di Blokchain.”
Comunicato trasmesso da UNCI Agroalimentare