L’art. 26 del Decreto Rilancio prevede che ai soci che effettuino, entro il 31 dicembre 2020, conferimenti in denaro per l’aumento del capitale sociale di medie imprese che abbiano subito, nei mesi di marzo e aprile 2020, una perdita di ricavi non inferiore al 33% rispetto allo stesso periodo nell’anno precedente, spetti un credito d’imposta pari al 20% delle somme conferite.
L’investimento massimo sul quale calcolare il credito d’imposta non può superare i 2.000.000 euro. A pena di decadenza del beneficio (con conseguente restituzione di quanto già eventualmente goduto), è altresì richiesto che la partecipazione riveniente dal conferimento sia posseduta almeno fino al 31 dicembre 2023 e che le riserve, di qualsiasi tipo, non vengano distribuite prima del 1 gennaio 2024.
Parimenti, alle medie imprese ricapitalizzate spetta un credito d’imposta pari al 50% delle perdite eccedenti il 10% del patrimonio netto, fino alla concorrenza del 30% dell’aumento di capitale effettuato entro il 31 dicembre e, in ogni caso, nei limiti di 800.000 euro (tetti minori sono previsti per le società che operano nel settore dell’agricoltura e della pesca).
La norma non chiarisce la nozione di regolarità contributiva e fiscale, in cui la società
ricapitalizzata deve trovarsi al fine di poter beneficiare del credito d’imposta in esame. Se è pacifico che con tale espressione si indichi la correttezza nei pagamenti e negli adempimenti previdenziali, assistenziali, assicurativi e fiscali, nonché in tutti gli altri obblighi previsti normativamente in riferimento all’intera situazione aziendale, non è tuttavia chiaro, specie dal punto di vista della regolarità fiscale, quali siano gli adempimenti la cui assenza implichi una situazione di irregolarità.
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