Le ultime settimane del 2020 vedono l’emergere del dibattito su Brexit, Regno Unito e rapporti commerciali con l’Unione Europea. Per l’Italia, si tratta di un capitolo economico molto importante anche in considerazione di quelle che sono le esportazioni legate all’agroalimentare della nostra Penisola. “Fare tutto il possibile per chiudere un accordo commerciale con il Regno Unito, perché un ‘no deal’ avrebbe un impatto pesantissimo sulle esportazioni italiane e sulla stabilità dei mercati agricoli a livello europeo“, rilancia con un appello il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti.
Dal primo gennaio 2021, il Regno Unito uscirà dal mercato unico e dall’unione doganale e “senza un accordo scatterebbero le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio con il ripristino dei dazi sugli scambi e dei controlli alle frontiere; sarebbero quindi a rischio 3,4 miliardi di esportazioni agroalimentari, con un’incidenza di oltre il 30% dei prodotti a indicazione geografica protetta”. Giansanti, nel chiedere un concreto impegno delle Istituzioni della Unione Europea e del governo italiano, precisa che, “in assenza di positive novità sulla conclusione del negoziato chiediamo alla Commissione di rendere noto il piano di emergenza che è stato predisposto. Senza un accordo, le imprese agricole e tutti gli operatori della filiera agroalimentare dovranno avere a disposizione una solida rete di sicurezza per affrontare una fase particolarmente complessa“, conclude il presidente Massimiliano Giansanti.
I dazi e il blocco commerciale che potrebbe scaturire verso il Regno Unito con il “no deal” preoccupano molto il mondo dell’agricoltura italiana che intrattiene relazioni economiche con il Regno Unito e la categoria spinge per sviluppare accordi commerciali che guardino con interesse all’intensificarsi di tali relazioni, senza burocrazia e tasse. Il Regno Unito è uno dei più importanti mercati di sbocco per la produzione alimentare italiana. Nel lontano 2012 le nostre esportazioni di prodotti alimentari, inclusi vini, bevande, frutta e vegetali, hanno superato i 2,5 miliardi di euro. Il sistema distributivo britannico è contraddistinto da una forte concentrazione della GDO. Le prime quattro catene, Tesco, Asda, Sainsbury e Morrison, controllano quasi l’80% del mercato. Per le piccole aziende italiane di nicchia il principale canale di consumo è quello della ristorazione italiana di alto livello che negli ultimi anni si è andata sempre più affermando nel Regno Unito, soprattutto a Londra.
D’altronde è importante ribadire che, nonostante la pandemia sanitaria, Londra è indicata anche come meta per investimenti nella ristorazione e diffusione di alberghi. Non solo esportazioni di eccellenze italiane ma sviluppo locale di attività legate al turismo e ai meeting per attività di business. Ogni anno aprono a Londra oltre 250 nuovi ristoranti a cui bisogna aggiungere un numero doppio di coffee-shops, pizzerie e fast foods. Negli ultimi anni, è stata proprio la ristorazione uno dei settori che ha più interessato gli investitori italiani. Londra ha visto l’apertura di numerosissimi ristoranti, pizzerie, gelaterie e take-away italiani. Anche il settore dell’alta ristorazione ha visto significativamente crescere la presenza italiana.
Elementi commerciali e di analisi dei consumi che fanno riflettere sulla portata del brand agroalimentare italiano nel Regno Unito. Tali analisi devono indurre a lavorare il più possibile per giungere ad un accordo commerciale con il Regno Unito che riesca a scongiurare il rischio “no deal” valorizzando e ottimizzando la forza dei prodotti italiani legati al food nel Regno e continuare a sviluppare ottimi rapporti commerciali con il nostro Paese.
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