La Corte di Cassazione, con la sentenza 11685 del 5 maggio 2021, ha accolto il ricorso di una società che aveva ricevuto un accertamento con il quale veniva negata la detrazione Iva in quanto la fattura era soggettivamente inesistente perché emessa da una cartiera.
Secondo i giudici di legittimità, “nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, è onere dell’amministrazione che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo o in detrazione l’Iva pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene o il servizio, sapesse o potesse sapere, con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si è iscritta in un’evasione o in una frode“.
E ancora: “La dimostrazione può essere data anche attraverso presunzioni semplici, valutati tutti gli elementi indiziari agli atti, attraverso la prova che, al momento in cui ha stipulato il contratto, il contribuente è stato posto nella disponibilità di elementi sufficienti per un imprenditore onesto che opera sul mercato e mediamente diligente, a comprendere che il soggetto formalmente cedente il servizio al concedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode“.
In sostanza, l’accertamento della maggior Iva non può essere considerato legittimo solo perché il fornitore è palesemente una cartiera, dato che il fisco è tenuto a dimostrare la piena consapevolezza dell’assenza di organizzazione da parte del cliente. Inoltre, l’atto è nullo quando non viene rispettato il termine di sessanta giorni dall’ispezione in azienda.