scritto da Giulia Cortese – legnostorto.com
Nell’arco degli ultimi anni abbiamo assistito, in Italia, a un lungo confronto sul tema del marchio Made in Italy. In passato, quest’ultimo è stato utile nel rimarcare la differenza fra un modello industriale di matrice “fordista”, che è tipico delle grandi economie mondiali, e un modello industriale come quello italiano, che ha una forte tradizione nell’artigianato e nella cultura dei territori.
Eppure l’artigianato, così come l’agricoltura, ha bisogno di marchi e riconoscimenti inclusivi: per potersi proiettare in un mondo globalizzato, è fondamentale l’utilizzo di linguaggi nuovi, in modo da poter incontrare e sapersi fondere con culture diverse dalla nostra. I fermenti culturali di questi anni dimostrano che esiste un interesse globale per un nuovo riconoscimento del valore del lavoro artigiano: ne è un esempio il movimento dei makers negli Stati Uniti, il quale è attualmente organizzato attorno a numerosi eventi e riviste di settore. Se l’Italia ambisce a diventare un punto di riferimento in una cultura del lavoro specifica a livello mondiale, è necessario saper promuovere attività di ricerca, marchi ed etichette riconoscibili. Un esempio da seguire è quello di Slow Food, brand che promuove la cultura del cibo in Italia e nel mondo, senza mostrarsi troppo legato al territorio e alla cultura nostrana. Ha dato prova di essere un brand capace di includere tradizione diverse e di saperle “tenere unite” tra di loro, usando un linguaggio aperto e universale, adatto ad affrontare le sfide della globalizzazione.
Negli ultimi tempi, il nostro Paese ha cominciato a comunicare e a promuovere il lavoro artigianale in modo nuovo, ad esempio con il padiglione italiano all’Expo di Shangai, dove si è potuto apprezzare il successo riscosso dallo spazio dedicato all’artigianato: qui vi è stata la compresenza di grandi imprese italiane consolidate nel mondo, come la Ferragamo, e di numerosi laboratori artigiani di eccezionale qualità. Un ruolo importante in questo scenario lo ha giocato la rete, la quale ha “internazionalizzato” il nostro modo di essere e la nostra tradizione, allargando di molto l’orizzonte geografico dell’agire dell’impresa artigiana. Per questo, riconoscerne l’importanza significa innanzitutto mettere da parte le tante contrapposizioni tra la piccola e la grande impresa. Il vantaggio competitivo dei nuovi artigiani deriva nella maggior parte dei casi dalla capacità di trovare un ruolo all’interno delle catene globali a livello internazionale. Il lavoro artigiano rilancia la sua competitività quando attiva, completa o arricchisce le filiere industriali; il nuovo artigiano, in poche parole, non compete più con l’industria, ma diventa parte integrante di catene del valore a cui contribuisce con la sua specificità. I tempi odierni, per fortuna, offrono anche opportunità, che compensano in parte le numerose sfide a cui siamo costretti, come Paese e come continente, a far fronte.
A partire da quest’anno, per esempio, i nostri artigiani avranno la possibilità di partecipare alla fiera ImportShopdi Berlino, la quale rappresenta, per le imprese e per le istituzioni italiane, un’occasione per entrare nel mercato tedesco. Dice Astrid Steuerwald, responsabile marketing e comunicazione della Camera di Commercio italiana per la Germania – ufficio di Berlino: «Il pubblico tedesco conosce molto bene lo stile italiano, apprezza la creatività e il lavoro che sta in ogni oggetto fatto a mano». Parole che dovrebbero essere d’incoraggiamento per le numerose persone volenterose e di talento che desiderano farsi strada, anche fuori dai confini nazionali. Tuttavia, diversamente da un tempo, la formazione del nuovo artigiano non gode ancora di istituzioni qualificate. È stata a lungo trascurata l’istruzione tecnica e professionale dell’artigiano, che fosse in grado di creare una figura al passo con i tempi.
È necessario avviare al più presto una serie di corsi di eccellenza che sappiano attrarre giovani talenti di tutto il mondo, interessati ai mestieri artigianali e alla cultura italiana. Le varie scuole dovrebbero costituire una Ivy League dell’artigianato che sia in grado di offrire un’offerta didattica di carattere generalista, che varia a seconda delle diverse vocazioni territoriali. Qualora si riuscisse a rilanciare la formazione artigiana, il lavoro manuale nella società italiana verrebbe rivalutato su tutti i fronti, e l’economia del Paese non potrebbe che beneficiarne.