Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza non entrerà più in vigore il 15 agosto 2020, bensì il 1° settembre 2021, a più di un anno di distanza, in corrispondenza della riapertura dei tribunali dopo il periodo feriale. Lo prevede la bozza di testo appena diffusa riguardante il decreto legge sulla liquidità delle imprese.
La decisione è arrivata con una modifica al comma 1° dell’art. 389 del dlgs 14, contenente tutte le nuove disposizioni in materia di fallimento d’impresa: soggetti che partecipano alla regolazione della crisi ed insolvenza, le procedure di allerta e composizione assistita, i nuovi strumenti di regolazione della crisi, le nuove regole sulla liquidazione giudiziale, quelle relative all’insolvenza dei gruppi di imprese e sulla liquidazione coatta amministrativa, le nuove disposizioni penali e del lavoro.
Allo stesso tempo sono stati sterilizzati fino al 31 dicembre 2020 anche gli effetti delle perdite delle società ed i conseguenti obblighi di ricapitalizzazione e liquidazione. Nessuna proroga è stata invece prevista per la nomina dei sindaci e revisori.
Lo slittamento è motivato in primis dal sistema delle misure di allerta volte a provocare l’emersione anticipata della crisi delle imprese, pensato in riferimento a un quadro economico stabile e caratterizzato soltanto da oscillazioni fisiologiche. L’emergenza coronavirus ha consegnato invece una situazione straordinariamente negativa che colpisce l’intera economia mondiale: e la crisi di molte imprese proprio a questo sarà riconducibile.
Il codice della crisi ha inoltre l’obiettivo del più ampio possibile salvataggio delle imprese e della loro continuità, adottando lo strumento liquidatorio come soluzione estrema. Nel contesto attuale, invece, il Codice non sarebbe in grado di perseguire tali obiettivi.
Le imprese, infine, in questa situazione emergenziale necessitano di una stabilità normativa, che non li esponga di fronte a novità e relative incertezze che sarebbero legate al codice fallimentare.