Nel corso del mese di dicembre del 2020, l’Unione Europea e Pechino annunciarono l’avvio del “Comprehensive Agreement on Investment” (CAI), un accordo bilaterale per gli investimenti che apre il mercato cinese alle imprese dei paesi membri dell’Unione Europea.
Le negoziazioni per l’accordo iniziarono otto anni fa e nel corso degli anni innumerevoli sono state le problematiche da risolvere così come le concessioni da parte di Pechino. In generale, l’accordo garantisce agli investitori europei l’accesso a diversi settori del mercato della Cina, come le telecomunicazioni, la finanza, l’energia e il mercato legato alle automobili elettriche e ibride. Per la Cina, i vantaggi sono soprattutto di carattere geopolitico oltre che commerciale. Tuttavia, l’Europa guarda con sospetto alla Cina sia per la violazione continua dei diritti umani delle minoranze e dei dissidenti sia per il non rispetto internazionale delle regole del commercio.
Anche se l’accordo non prevede una disposizione contro il lavoro forzato, dimostrando ulteriormente la reticenza cinese alla tutela dei diritti umani, la firma del CAI non esclude automaticamente che, in futuro, l’Europa possa introdurre nuove sanzioni verso Pechino per le violazioni contro gli uiguri e le altre minoranze denunciate in questi anni. L’Unione europea rivuole la sua autonomia. Dal 5 maggio la nuova strategia industriale delineata dalla Commissione europea definisce 137 prodotti “molto sensibili all’offerta esterna al mercato unico“. Tra questi sono 34 in particolare a preoccupare perché scarsi su suolo europeo, con la conseguente necessità di importarli da fornitori esteri. Tra i settori centrali emergono le tecnologie avanzate per cloud (archiviazioni dei dati nella rete) ed edge computing (elaboratori di dati che non necessitano di server fisicamente distanti dalla fonte dei dati), semiconduttori e ingredienti farmaceutici attivi. La lista include anche idrogeno, batterie, materie prime. Molti di questi prodotti e servizi provengono dalla Cina.
La Commissione europea definisce infatti come “distorsivi” i finanziamenti che arrivano oltreconfine nei confronti di aziende straniere o acquisite con capitali esteri e chiede ulteriori meccanismi di controllo. “L’apertura del mercato unico è la nostra più grande risorsa. Ma l’apertura richiede correttezza“, ha commentato la vicepresidente esecutiva Margrethe Vestager. Almeno la metà dei 137 prodotti chiave per l’autosufficienza industriale europea provengono dalla Repubblica popolare cinese, mentre in tema di investimenti esteri, Pechino ha aumentato di 50 volte la propria presenza nella Ue in soli dieci anni.
I finanziamenti di Pechino nei confronti dei propri partner oltreconfine sono da tempo nel mirino delle politiche europee, che vedono nelle iniziative cinesi uno strumento di facilitazione all’ingresso sui mercati europei, cosa che non accade per le aziende europee interessate al mercato cinese. Un ruolo preponderante sul mercato europeo di domani sarà giocato dalle tecnologie avanzate per l’industria 4.0 e per la transizione energetica. In questo scenario tecnologico globale, la Cina emergere nella corsa internazionale alle tecnologie energetiche “pulite”, con investimenti tali da abbassare i prezzi dell’intero mercato globale: tra il 2010 e il 2018 l’impatto sui costi è stato di -77% per i pannelli solari, -85% per le pale eoliche e fino al -35% per le batterie di stoccaggio dell’energia.
Il monopolio della Repubblica popolare sull’energia del domani e le materie prime rare è un segnale che denota la forte presenza di Pechino nella catena globale del valore delle tecnologie avanzate per la manifattura, i servizi e il settore energetico. Per l’Unione europea, la maggior parte delle tecnologie chiave sono un rischio sistemico e sviluppare ulteriormente relazioni commerciali con il colosso cinese genera preoccupazioni geopolitiche che molti protagonisti politici europei guardano con estremo sospetto, affiancati anche dalle attività di continua denuncia delle Organizzazioni Non Governative sul non rispetto dei diritti fondamentali.