Vario e complesso è il mondo della pesca professionale: un settore di non poco conto per l’intero assetto economico italiano, ma caratterizzato da innumerevoli zone d’ombra che non solo penalizzano il comparto, ma soprattutto appaiono incomprensibili.
Ci riferiamo, nella fattispecie, al campo della previdenza sociale, particolarmente lacunosa per i lavoratori della pesca e che ha mostrato tutta la sua fragilità in questo tempo di crisi economica e sanitaria da Covid-19.
All’inizio della crisi c’era stata l’estensione della Cassa Integrazione anche per i lavoratori dipendenti della pesca, escludendo i pescatori autonomi, per i quali solo a maggio un emendamento del DL Rilancio Italia ha destinato una indennità di 950 euro. Una magra consolazione per le innumerevoli piccole imprese che caratterizzano il settore.
L’ articolo 78 del DL Cura Italia (misure a favore del settore agricolo e della pesca), per far fronte ai danni diretti e indiretti derivanti dall’emergenza da Covid-19, aveva previsto un Fondo a disposizione delle imprese per la copertura degli interessi passivi sui finanziamenti bancari e per la ristrutturazione dei debiti. Lo stesso articolo prevedeva deroghe ai Regolamenti Europei in materia di aiuti in regime di “de minimis” per le imprese della pesca e dell’acquacoltura. Il tutto nell’ottica di assicurare una reale opportunità alle stesse aziende di sopravvivere avendo a disposizione una liquidità venuta meno con l’inattività forzata. Ad oggi le stesse imprese aspettano ancora che si dia piena ed efficace attuazione a queste misure.
Arriva poi il cosiddetto Decreto Agosto, che prevede un sostegno destinato ai lavoratori marittimi (quelli individuati dall’art. 115 del Codice della Navigazione e quelli indicati nell’art. 17, comma 2 della Legge 5 dicembre 1986 n.856) che possono richiedere una indennità di 600 euro per i mesi di giugno e luglio 2020. Tali indennità raggiungono una categoria prima esclusa da altre forme di sostegno al reddito, anche se le condizioni per farne richiesta sono precise e, riteniamo, non così favorevoli: aver cessato involontariamente il contratto di arruolamento o altro rapporto di lavoro dipendente nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 17 marzo 2020; avere svolto almeno trenta giornate lavorative nello stesso periodo; assenza di altri contratti di arruolamento o lavoro dipendente, NASPI, indennità di malattia, pensione alla data di entrata in vigore del Decreto Agosto.
A questo punto ci chiediamo: coloro che non possono contare su questo cumulo di 30 giornate lavorative, devono ritenersi “poveramente” esclusi da ogni forma di sostegno? E ancora: il pescatore autonomo potrà usufruire di tale sostegno? Non dimentichiamo gli armatori e i proprietari che, inattivi a causa della crisi epidemiologica, hanno deciso di mandare in disarmo i pescherecci, togliendo ai pescatori dipendenti la possibilità di usufruire della NASPI. Senza parlare del fatto che per questi ultimi a volte si è profilata la beffa oltre al danno: licenziati, in assenza di disarmo, avrebbero potuto godere della concessione, da parte dell’ Inps, una indennità sostitutiva pari a 500 euro per ogni anno di lavoro.
Confusione e domande senza risposte. Anche per il comparto pesca devono essere cercate e attuate delle linee che si pongano come risolutive in materia di aiuti. Per fare questo si dovrebbe cominciare dal considerare il pescatore non semplicemente un marittimo imbarcato ma un lavoratore a tutti gli effetti con diritti acquisiti e consolidati. Attendiamo sempre un giorno migliore.