In principio furono le assicurazioni private. Poi vennero le assicurazioni sociali, nell’ambito delle quali, stante la giungla retributiva e, quindi, previdenziale, gli interpreti si affannarono nel tentare di fare chiarezza rintracciando due sistemi: un primo, detto “mutualistico”, caratterizzato per la rigorosa proporzionalità tra contributi e prestazioni previdenziali, ispirato allo schema sinallagmatico fra premi e indennità, proprio dell’assicurazione privata; un secondo, detto “solidaristico”, caratterizzato per l’irrilevanza della proporzionalità fra contributi e prestazioni, essendo considerati i primi unicamente quali mezzo finanziario della previdenza sociale.
Quasi un quarto di secolo fa, intervenne la riforma Dini che espulse definitivamente l’elemento solidaristico dal sistema previdenziale obbligatorio in quanto fu stabilito che il calcolo della pensione doveva, a regime, essere effettuato in rapporto al montante dei contributi soggettivi versati. Non solo, ma alle pensioni liquidate esclusivamente con il sistema contributivo non si sarebbero applicate le disposizioni sull’integrazione al minimo.
Ciò nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore delle ipotesi invece, nessuna controprestazione, ossia nessuna pensione, per chi avesse – a causa di un di lavoro discontinuo e sottopagato – versato poco, come il caso dei contributi cosiddetti silenti della famigerata Gestione Separata INPS.
Il problema non si risolve nello stesso modo con il quale è stato creato.
Espulsa la solidarietà, le assicurazioni sociali sono ritornate ad essere assicurazioni private. E oggi, la tutela previdenziale obbligatoria, compresa quelli delle partite IVA e dei professionisti, è, di fatto, un’autotutela. Con la differenza che tale autotutela è gestita da un’unico operatore, in regime di monopolio.
In altri termini, lo Stato ben può obbligare i cittadini di assicurarsi, ad esempio, per la responsabilità civile auto, ma non può imporre di contrarre con una determinata società di assicurazione.
L’attuale modello di previdenza obbligatoria non è conforme né al diritto fondamentale della persona alla protezione sociale, sicura, prevedibile ed integrale, né alla libertà di scelta di affidare i propri risparmi previdenziali ad un’impresa piuttosto che ad un’altra – il che non esclude che possa, per chi voglia, essere lo stesso INPS o una della casse professionali.
O si libera il mercato, con reciproco profitto per cittadini e imprese, o a scomparire sarà anche l’idea stessa di Welfare.
Il nostro compito non è vedere quanto nessuno ha visto ancora, ma pensare quello che ancora nessuno ha pensato, su ciò che tutti vedono.