Due libere professioni su dieci è a rischio espulsione dal mercato, perché prima che l’emergenza coronavirus «congelasse» il Paese già si muovevano su un terreno produttivo «fragile», come attestato dai «500 mila iscritti alle Casse private» che hanno chiesto (e ottenuto) il «bonus» statale da 600 euro per la mensilità di marzo. Tempi duri per le libere professioni e tempi duri per i professionisti di domani.
Come già anticipato in un precedente articolo, ad aver lanciato l’allarme è stato recentemente il quotidiano delle Partite Iva: “La crisi economica si è abbattuta sui professionisti, che hanno visto il loro fatturato diminuire sensibilmente, soprattutto nelle fasce di lavoratori più giovani. Ad esempio, i professionisti dell’area giuridica hanno perso in sei anni il 23% del loro fatturato, mentre nell’area tecnica la percentuale è del 15%“. L’eliminazione dei minimi tariffari ha finito per favorire una corsa al ribasso che ha fatto male a tutti ma soprattutto alle fasce più deboli di ogni categoria.
Il problema quindi è quello dei compensi, ma anche lo split payment, il pagamento esente da Iva da parte delle pubbliche amministrazioni, delle loro controllate e delle società quotate, ha suscitato non poche polemiche, colpevole di danneggiare ulteriormente i professionisti, equiparati alle aziende, in grado di mettere ancora di più in ginocchio i fatturati dei professionisti di tutte le categorie.
Per il comparto dei lavoratori indipendenti si profila una «nuova previdenza» che, al di là dell’erogazione della pensione a fine carriera, includa forme di «welfare delle catastrofi», interventi, cioè, d’ampio respiro e strategici, che gli Enti stanno implementando da settimane, con l’intento di supportare l’attività e il reddito del vasto bacino di soggetti alle prese con le conseguenze della pandemia.
Un allarme quello lanciato dalle associazioni di categoria e dagli analisti perché sui quasi 1,6 milioni di associati alle Casse circa un milione esercita la libera professione e la platea di chi ha avuto accesso ai 600 euro «è quasi pari al 50% degli associati», che hanno depositato l’istanza su proventi lavorativi riconducibili all’anno d’imposta 2018 con entrate inferiori ai 35 mila euro. «Gli under 40 guadagnano 1/3 dei loro colleghi ultracinquantenni», evidenziano gli esperti, tra i quali il senior advisor dell’Adepp Francesco Verbaro.
La nostra attualità, il momento storico che tutti stiamo vivendo porta con sé i tratti di un cambiamento che ancora non riusciamo a definire in tutti i suoi aspetti ma che sicuramente avrà delle ricadute importanti in tutti i settori produttivi e imprenditoriali. Il mondo dei professionisti rischia di più delle altre categorie lavorative. La rivitalizzazione del settore, passa attraverso la concessione di «incentivi alle aggregazioni» e in un miglior uso della tecnologia e della banda larga lungo il corso di tutta la Penisola. Resta una priorità: quella delle paghe.
La pandemia ha solo accelerato un processo che in Italia già pre-esiste alla crisi, da almeno una ventina di anni, e che ha subito un aggravamento, o quantomeno una perpetuazione, da un eccesso di dipendenza dal credito bancario. L’Italia, all’interno della crisi globale, soprattutto nel settore delle Pmi, soffre di una sua specifica incapacità di generare sviluppo e l’assenza di credito è solo una parentesi.
Le libere professioni dovrebbero unirsi e chiedere diritti unanimi: aumentare le entrate mensili e chiedere molto ma molto di più per il lavoro che si sta svolgendo. Far cessare i tempi duri che si vivono da decenni e pretendere pagamenti certi e concreti da pubblica amministrazione e imprenditori. Ciò è possibile solo attraverso una concorrenza intelligente che, attualmente, non vede il protagonismo dei giovani professionisti, con difficoltà economiche, e che per di riuscir a guadagnare sono disposti ad abbassare di molto i propri tariffari e il costo dei propri servizi.