Il riciclaggio e l’autoriciclaggio scattano anche senza la condanna definitiva per il reato presupposto, purché quest’ultimo non abbia avuto l’archiviazione definitiva.
Così la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 42052 del 14 ottobre 2019, ha accolto il ricorso presentato dalla Procura di Arezzo, annullando il dissequestro dei beni di tre imprenditori sospettati di riciclaggio e autoriciclaggio.
Secondo i giudici supremi non è necessario che la sussistenza del delitto presupposto sia stata accertata da una sentenza di condanna passata in giudicato: basta che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, definitivamente e nella sua materialità, e che il giudice procedente per il riciclaggio ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza.
La responsabilità per il delitto di ricettazione, di riciclaggio e di autoriclclagglo non richiede dunque l’accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, dei suoi autori o dell’esatta tipologia del reato, potendo il giudice affermare l’esistenza attraverso prove logiche.
“Nel giudizio di legittimità possono essere prodotti esclusivamente i documenti che l’interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio, sempre che essi non costituiscano ”prova nuova” e non comportino un’attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici del merito” ha chiarito la Suprema Corte.