Un interessante articolo pubblicato dall’Huffington Post a firma di Domenico Posca, Presidente dell’Unione Italiana Commercialisti, richiama alla necessità di una vera e propria tregua fiscale e contributiva per il rilancio delle imprese.
La pressione fiscale, infatti, negli ultimi tre mesi dello scorso anno è salita al 52%, ai massimi dal 2014. Un balzo notevole nonostante la riduzione delle entrate fiscali e contributive e a fronte del 39,3% registrato nel trimestre precedente e in aumento di 1,3 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2019.
Il Presidente dei Commercialisti, nel chiedere questa tregua fiscale, non fa riferimento a condoni o provvedimenti di particolare favore per imprese e lavoratori autonomi, che pure avrebbero un senso in un momento di ricostruzione del sistema economico. Ma, più semplicemente, a un rallentamento dei controlli e a una semplificazione degli adempimenti amministrativi e burocratici che penalizzano per quantità e invasività le imprese italiane, i commercialisti e consulenti del lavoro, e che relegano il nostro paese in fondo alle classifiche mondiali dei posti dove investire.
Secondo il Dott. Posca occorre altresì una scossa al sistema amministrativo. Senza passi indietro, come occorso, per esempio alle riforme del lavoro, rendendo più complesse e costose le ristrutturazioni del personale. È necessario un taglio alla bulimia legislativo – amministrativa che, da decenni, condanna imprese, commercialisti e consulenti del lavoro a rincorrere scadenze fini a se stesse che nessun significativo ritorno aggiuntivo hanno apportato ai conti pubblici.
L’articolo riporta infine alcuni numeri, tratti da una recente analisi dell’ufficio studi della Cna, che descrivono la pesante situazione in cui versano le nostre imprese, che forse da oggi possono guardare al prossimo futuro con un po’ di ottimismo. Su 12mila aziende manifatturiere e commerciali che fatturano meno di 5 milioni, le vendite nel 2020 sono scese del 23% nell’alimentare, del 24,4% nella meccanica, del 30,5% nell’arredo, del 31,7% nell’abbigliamento, del 50,7% nel settore lapideo.
Il bilancio dello Stato del 2020 parla di 150 miliardi di Pil e 108 miliardi di consumi persi, 435mila occupati in meno, nuovi debiti passati dai 27,9 miliardi del 2019 a 156,3 miliardi. Ma le previsioni sono favorevoli con un Pil in aumento del 4,7 % nel 2021 e una proiezione da qui al 2023 pari a un 3,8% medio, meglio dell’Eurozona nel suo insieme ferma al 3,6. Ma la nuova previsione confermata dall’Ocse, è di una risalita del Pil sarà del 4,1% nel 2021, superiore alla Germania.
Il nostro Paese ha dunque molte chance in virtù del dinamismo e della flessibilità delle piccole e medie imprese, che, in situazioni del genere, rappresentano un vantaggio. Ma lo Stato è chiamato, in questa fase di ripartenza, a interventi minimi e poco invasivi.