La metà delle piccole e medie imprese europee (PMI) dichiara il rischio di fallimento per il prossimo anno, se i ricavi non aumenteranno, a causa degli effetti devastanti dell’emergenza economica da Covid-19.
E’ allarmante il quadro che emerge da una ricerca condotta dall’istituto McKinsey & Co. su oltre 2.200 PMI nelle cinque maggiori economie europee. E in Italia un’azienda ogni cinque prevede di presentare istanza di insolvenza entro un semestre.
Il 49% delle piccole e medie aziende interpellate ha evidenziato una percezione di profonda debolezza, con realistica ipotesi di bancarotta. Solo in Spagna la percezione è ancora peggiore, con un 56% di PMI vicine al fallimento.
Nel nostro Paese solo l’8% dei piccoli imprenditori considera margini di ottimismo per il proprio commercio e unicamente il 2% si sente completamente forte. In Francia, per fare un paragone, il massimo del pessimismo è avvertito dal 33% delle aziende e in Germania dal 23%.
Il nostro sistema rischia di finire schiacciato dalle macerie dell’emergenza proprio perché sorretto in una sua parte importante di Pil nazionale da imprese di dimensioni ridotte, che faticano a sostenere un tale peso della crisi per un periodo così duraturo.
Soltanto il settore della ristorazione prevedeva di archiviare il 2020 con un calo del 27% del fatturato, pari a 26 miliardi di euro, ma le restrizioni imposte nei mesi autunnali, e ancora oggi in vigore, renderanno la situazione ancora più drammatica, prevista la perdita di oltre 600 mila posti di lavoro.
Di fronte a questi numeri, la frustrazione e la rabbia degli imprenditori va crescendo. E di fronte a questa il Governo, e la politica in generale, sono chiamati a promuovere azioni di buon senso, non solo per “ristorare” economicamente le attività produttive, artigianali e commerciali, ma anche per non mettere lo Stato di traverso, con tasse, burocrazia e adempimenti non essenziali, di fronte alle possibilità di una ripresa delle vendite e dell’attività lavorativa.