Di recente si è riunito a Bruxelles un gruppo di tecnici per definire le nuove regole della buona fiscalità UE, con lo scopo di rivedere la definizione delle norme fiscali raccomandate dall’Unione agli Stati membri, introdotte per la prima volta nel 1997. E tra queste spicca l’aliquota minima fiscale per le società.
Il nuovo incontro è stato convocato per adeguare le raccomandazioni a nuove pratiche economiche come la digitalizzazione e il ruolo sempre più centrale delle società multinazionali nell’economia globale: fattori che hanno reso antiquate e superate le prime regole risalenti a ben 23 anni fa, e mai modificate fino ad oggi.
Sono stati così valutati centinaia di regimi fiscali adottati sia in Europa che nel mondo, cercando di differenziare i Paesi da definire “paradisi fiscali“, e quelli “a fiscalità vantaggiosa“, che hanno il merito di garantire una tassazione agevolata per dare impulso alla loro economia ma restando entro i confini dei parametri internazionali.
L’argomento emerso con più forza per marcare con più evidenza la differenza sopracitata riguarda l’introduzione di una tassazione minima, e di un piano su come i Paesi potranno utilizzare le rispettive aliquote fiscali per attirare imprese e investimenti.
“Se non vi è un consenso sulla tassazione minima a livello globale, questo concetto deve essere introdotto nel Codice come standard UE” ha sentenziato la Commissione Europea in una nota di commento ai lavori del tavolo tecnico.
Nel mirino sembrano esserci quei Paesi che utilizzano le strutture generali dei loro sistemi fiscali per impegnarsi nella concorrenza fiscale, ad esempio con l’adozione di particolari regole di residenza fiscale che possono portare a una doppia non imposizione o a esenzioni fiscali per i redditi esteri.
Anche i passaporti d’oro verranno probabilmente messi al bando. Secondo la commissione, i regimi speciali di cittadinanza o le misure per attirare gli espatriati o gli individui facoltosi dovrebbero essere presi in esame.
Lo stesso gruppo potrebbe poi prendere in considerazione le conseguenze da adottare nei confronti degli Stati membri che non si conformeranno alle decisioni prese nei tempi previsti, mentre per i paesi terzi si aprirà una discussione sulla portata geografica dell’elenco dell’Ue che fino ad ora ha escluso i paesi meno sviluppati e privi di un centro finanziario.
Il fare impresa a livello globale, quindi, dovrebbe essere sempre più basato su regole e condizioni uguali per tutti, almeno da punto di vista fiscale e in linea di principio. Ferme restando, poi, le politiche adottate dai singoli Stati per incentivare la crescita e non opprimere le attività economiche: qui ciascuno deve prendersi la responsabilità di adottare sistemi di imposizione equi e non far scappare (stavolta legittimamente e comprensibilmente) le proprie aziende altrove.